A commento della giornata di presentazione pubblichiamo una recensione del volume a firma di Manuel Triggiani.
Farsi piccolo di un grande per far grande i piccoli
«Che c’entra Gesù con l’educare?» Appunto, che c’entra? Stiamo parlando del titolo
provocatorio del saggio di Francesco Lorusso, edito dalla Tau-editrice e
presentato Mercoledì 27 settembre presso il Convitto Nazionale Statale
“Domenico Cirillo” di Bari, presso il quale il nostro autore ha concluso la sua
carriera di dirigente scolastico. Questa agile e densa pubblicazione -
corredata da un’ampia documentazione bibliografica e da un pertinente e
sensibile corredo iconografico sull’arte del Nocecento, a cura di Chiara
Troccoli - riguarda sicuramente quell’emergenza educativa, ripetutamente
invocata e a più voci segnalata come un campanello d’allarme, non solo per la
salute della nostra convivenza civile, ma in risposta a quel gusto del vivere,
a quella fame di senso che strugge ogni persona seriamente impegnata con
la propria esistenza.
Non, quindi, un
semplice auto da fé, ma l’esito di una scoperta, di una sorprendente
corrispondenza tra l’esperienza di educatore, maturata in anni insegnamento e
di management scolastico, e i cardini del mistero dell’Essere, come
emergono dalla Rivelazione cristiana. É avvenuto, per il nostro autore, che
principi largamente condivisi dalla moderna pedagogia, come l’immedesimazione e
la condivisione dei bisogni altrui (espressi nel gergo tecnico dalla collaborative
learning e dalla experience sharing), la collaborazione attuata
nella collegialità degli obiettivi e dei metodi (il reciprocal teaching)
o il dono gratuito e desiderante della propria persona nell’azione
didattica, suffragata dagli approcci empatici, abbiano trovato nell’Incarnazione
e nella Passione di Gesù Cristo, nel Mistero Trinitario
e nell’Eucarestia conferma, giustificazione e solido fondamento.
Il percorso proposto
riguarda, perciò, soprattutto gli adulti, la loro capacità di offrire uno sguardo,
una pienezza di vita, di porre una presenza che stimi la libertà altrui
e doni speranza alle giovani generazioni, che permetta di riscoprire la densità
della realtà come promessa di bene in questa “epoca liquida”, come ha indicato
Ezio Dalfino - presidente di D.I.S.A.L. (l’associazione nazionale di Dirigenti
di Scuole Autonome e Libere), amico di lungo corso di Francesco Lorusso.
Infatti solo l’io di
un educatore, ridestato, può suscitare nei discenti quell’irresistibile
attrattiva che costituisce il nerbo della curiosità e la natura intima
dell’apprendimento - ha sottolineato Costantino Esposito, ordinario di Storia
della filosofia presso l’Università degli studi di Bari.
L’enfasi della
moderna pedagogia sulle soft skills, ovverossia sulle competenze
trasversali e caratteriali, ribadisce quell’unità originaria di intelligenza e
volontà, mente e cuore che si innesta alle radici della personalità,
considerata nella sua consistenza e concretezza. Per questo - come diceva
Albert Einstein in un dialogo con il suo amico matematico Francesco Severi,
riportato dal Corriere della Sera - «chi non ammette l’insondabile mistero non
può essere neanche uno scienziato»: perché per chiunque, credente o non
credente che sia, per poter aspirare ad un oltre, per avventurarsi nella
scoperta del nuovo, per incuriosirsi della realtà, è necessario ammettere
l’esistenza di qualcosa che sia più grande di sé. L’educatore - aggiunge
Esposito - è attraente perché vede le stesse cose che ricadono sotto gli occhi
di tutti, ma che non tutti vedono.
Questa dinamica del
desiderio, perciò, è l’unica che può trasformare la scuola in quella «comunità
di destino» (Gustave Thibon), quel luogo accogliente e pacificante, in cui è
preso sul serio il bisogno di ciascuno, compresi gli educatori.
L’educatore è colui
che non teme la natura desiderante dei propri allievi, ma li sfida criticamente
a scrutare al fondo della loro scaturigine, che non permette che si
accontentino, come ha sottolineato Franco Lorusso, dei suoi surrogati.
Esiste un metodo per
suscitare nei più giovani la capacità di discernimento e il suo riverbero
giunge inaspettatamente dalla profondità della nostra tradizione culturale, da
Dante Alighieri, che descriveva ogni desiderio come una tappa intermedia che
conduce all’aspirazione del Sommo Bene (Convivio, IV, 12, 16-17),
in un percorso che assomiglia ad una «piramide rovesciata», in cui la base,
come traguardo, abbraccia tutta l’ampiezza della nostra esperienza.
Per un profondo
rinnovamento della scuola, conclude Lorusso, non sono necessarie nuove
strategie o metodologie, non c’è bisogno di incrementare l’offerta formativa
fino all’abulimia dell’attivismo; servono docenti, pienamente consapevoli
della loro statura educativa, che sappiano incarnare dall’interno delle
loro discipline e dei loro metodi quell’amore alla realtà, che spinge ciascuno
alla ricerca costante di un significato, di un gusto e di una pienezza che
renda la vita degna di essere profondamente vissuta.
Emanuele Triggiani