L'introduzione ai lavori - Roberto Pellegatta


Introduzione al  Convegno

Roberto Pellegatta – presidente DiSAL

1.

Grazie di aver accettato il nostro invito.   Come è nata l’idea di questo convegno  ?  Che ha anche un aspetto positivamente insolito cui poi accennerò.

Dall’esigenza di entrare come soggetti attivi nel vivo del dibattito che in diversi ambiti stà ripensando la figura attuale del Capo di Istituto.

Vogliamo fare questo con l’esplicito interesse di mettere al centro di questo dibattito il primato della finalità educativa delle professioni della scuola.   Questo innanzitutto accomuna le nostre tre associazioni professionali, pur diverse per la loro storia e composizione.

Vi abbiamo quindi invitati a tre giorni di ascolto, di riflessione, di scambio di esperienze per giungere a proporre insieme all’interno di questo dibattito civile, istituzionale e professionale le linee di nuova figura direttiva nella scuola. Per proporlo ai nostri colleghi, al mondo della politica e del sindacato, ognuno per le loro responsabilità.    

In questi ultimi 6 anni (la data non è a caso) la professione del direttore, del preside ha avuto notevole mutamento. Pensiamo:

- nella scuola statale alla dirigenza, alla spinta di forze sindacali verso l’unica dirigenza pubblica, al sovraccarico giunto dal decentramento fino a funzioni unicamente borocratiche;

- nella scuola non statale con la novità della legge 62 e il conseguente utilizzo della legge 440 il preside ha assunto sempre più una funzione attiva e propositiva.

Abbiamo scritto nella nostra presentazione che “dirigere un istituto scolastico, statale o paritario che sia, è uno dei compiti più impegnativi e delicati che ci possano essere nella scuola di oggi”.    Le responsabilità sono fortemente aumentate, spesso anche in maniera distorta e impropria (già pensate tutti alla 626 ed alla privacy o alle pratiche di pensione), rendendo sempre più faticosi i più importanti compiti di coordinamento dei docenti, di rapporti con famiglie e studenti, di promozioni di un ambiente formativo di studio e ricerca.

Le varie riforme di questi anni hanno spesso marginalizzato questa figura, lasciando la sua definizione ai provvedimenti amministrativi, ma più spesso (dalla cosiddetta privatizzazione) ai tavoli della contrattazione sindacale. Oppure indirettamente scaricando sulla nostra funzione (penso ai dirigenti delle elementari e dei comprensivi) la soluzione di incertezze o conflitti non nati da noi. Nessuno di noi vuole evadere la proprie responsabilità.   Ma rispetto alla nostra funzione ci strattonano da diverse parti:

- chi ci vuole ancora terminali su cui scaricare incombenze amministrative

- chi ci vuole manager di imprese di un servizio sociale,

- chi, magari per raggiungere mete economiche, ci vede come un super-dirigente amministrativo di zona magari con 20 scuole

- chi invece ha anche tentato, magari con un certa nostra assenza dal vivo della contesa, di lasciarci fuori dal processo formativo (ricordiamo la vicenda della circolare 85 del 2004 sulla valutazione e la schedacollegata).

Io credo che la prevalenza in questi anni di aspetti amministrativi, burocratici, gestionali o manageriali abbia spinto a marginalizzare quelle ore decisive della nostra giornata che rendono quegli aspetti solo in funzione della costruzione quotidiana di comunità educative dove sia possibile per i giovani l'incontro libero con esperienze educative ricche di significati.   Occorre certo saper far quadrare i conti, organizzare progetti, intrattenere rapporti istituzionali e sociali. Oppure  gestire un’organizzazione, prendere continue decisioni, tessere rapporti quotidiani con tutti gli adulti o i soggetti della cui alleanza la scuola ha bisogno.

Ma nel nostro lavoro occorre con sempre più urgenza saper finalizzare (dirigere appunto) tutto questo alla quotidiana costruzione di una scuola come “ambiente di apprendimento” e questo non è possibile senza conoscere gli orizzonti dell’infanzia, la fragilità dell’adolescenza, le contraddizioni del mondo giovanile.    Purtroppo ancora nelle condizioni istituzionali di questa nostra professione trionfano lentezze decennali quando non confusione o misure irragionevoli.    Basti pensare (comunque vada la finanziaria che influirà dall’anno scolastico 2007/2008) che il prossimo anno scolastico nelle scuole statali più di 3000 posti su 10.000 saranno precari e oppure riflettere su questo nuovo istituto della «reggenza» che porta taluni di noi ad occuparsi del complesso di 2000 alunni.  Ancora, nel succedersi dei governi, si parla di ristrettezza di risorse per la scuola, mentre altre politiche occidentali le mettono invece al primo posto per lo sviluppo del proprio paese.

L'assenza poi di effettiva libertà di scelta educativa nel sistema italiano  (denunciata di nuovo a Verona dal Papa) ha ulteriormente reso difficile un’impostazione della scuola che avesse come preoccupazione principale la sua qualità formativa.

2.

Vengo ora all’insolita sorpresa: è la prima volta che le nostre associazioni  promuovono un’iniziativa insieme. Abbiamo in comune una cultura della scuola che si radica per molti in valori che scaturiscono da un’esperienza cristiana, ma soprattutto tra tutti noi abbiamo in comune la certezza morale che tutte le funzioni e gli aspetti della scuola, amministrative, organizzative e finanziarie esistono unicamente per quel compito educativo e culturale che da senso alle scuole, compito che si svela sempre più (come giustamente ha sostenuto un appello firmato lo scorso anno da centinaia di personalità) come vera e propria emergenza sociale,  come domanda spesso anche drammatica di luoghi ed esperienze ricche di valori e di significato per i giovani.

E’ questa un’emergenza più seria di quella politica o economica (senza nulla togliere a questi gravi problemi), a tal punto che proprio da quella  dipendono anche la politica e l’economia. La domanda seria di “educazione” riguarda certo tutti, ad ogni età, perché attraverso l’educazione si costruisce  la persona, e quindi la società.
Per anni dai nuovi pulpiti - scuole e università, saggi, giornali e televisioni - si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere.  È diventato normale pensare  che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere il sesso o la posizione sociale.

Educare è una responsabilità di tutti. E’ soprattutto domanda di “maestri” (e per fortuna ce ne sono)  capaci di consegnare la nostra tradizione e cultura alla libertà dei ragazzi, capaci di accompagnarli in una verifica piena di ragioni, capaci di insegnare a loro a stimare ed amare se stessi e le cose (basta girare qualche edificio di scuola statale delle metropoli per rendersi conto di questa drammatica emergenza).   La funzione di dirigere scuole ha un posto molto importante dentro questa responsabilità che appartiene ad un intero popolo.   E’ la funzione, dicevo all’inizio, di costruire condizioni favorevoli per esperienze educative.

Allora in questi giorni di lavoro insieme occorre che cerchiamo risposte per il nosto compito nella scuola.   Che cosa significa svolgere una funzione regolativa, ordinativa di una realtà istituzionale come la scuola, avendo a cuore le preoccupazioni dette ? Poiché sappiamo bene che educazione e apprendimento avvengono in un ambiente positivo e ordinato, non conflittuale, ma concorde nella diversità.  Quali sono allora gli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento ?

Questo ambiente cresce con l’aiuto di una direzione, di una guida che sollecita, che valorizza, che indica, che vigila sulle condizioni di libertà, di criticità, di serietà e di autenticità delle proposte fatte ai discenti, salvaguardando l’unitarietà dell’ambiente, cercando di ridurre i conflitti e le prevaricazioni, incentivando tutte le dimensioni formative della persona, favorendo l’apertura della scuola a tutte le esperienze educative esterne.  Una simile funzione deve sempre riportare ogni decisione alle esigenze dei più giovani, commisurandosi ai loro bisogni reali e non ad immagini di ragazzi teoriche o “culturalmente correte”.

Quali debbono essere allora le nostre funzioni in un contesto di un’autonomia scolastica che deve riprendere il suo cammino e di quella libertà educativa effettiva che anche il Papa ricordava ancora coperta in Italia da pregiudizi irragionevoli ?

Le relazioni vogliono offrirci elementi per cercare risposte. I gruppi di lavoro, arricchendosi delle esperienze personali, potranno far interagire quelle riflessioni con il quotidiano per cercare piste di sviluppo professionale benefiche per le riforme di cui la scuola ha bisogno.

 
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