DiSAL per il Laboratorio Istruzione Tecnica e Professionale


 

 

                  Dirigenti Scuole Autonome e Libere

 Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie  - Ente qualificato dal Miur alla formazione

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Milano 14 maggio 2007 – Contributo al Convegno

La riforma dell’Istruzione Tecnica e Professionale

 

 

All’indomani della approvazione dell’art. 13 della Legge 40/07, Di.S.A.L. aveva inviato al Ministro della Pubblica Istruzione le proprie valutazioni e proposte migliorative in merito alla Riforma dell’istruzione tecnica e professionale.  Nel riprendere quelle osservazioni, a seguito dei recenti testi in discussione al Parlamento o negli Ufficio Ministeriali e in occasione del “Laboratorio dell’Istruzione Tecnica e Professionale” convocato per il 15 e 16 maggio, vogliamo insistere su alcune questioni fondamentali, affinché questa importante riforma  sia di vera utilità ai giovani ed alla nazione.

 

1. L’indirizzo generale originariamente dato dal ministro Fioroni al riordino dell’Istruzione tecnica e professionale, così come viene orientato dalle legge finanziaria 2007 e attuato dalla legge Bersani, ci trovava concordi, non solo perché contribuiva ad invertire i decennali deleteri processi di licealizzazione di questo settore (iniziati già con il famoso Progetto ’92 dei Professionali), ma soprattutto perché tentava (come era nell’originario disegno della riforma Moratti) di riportare questo fondamentale ramo dell’istruzione e formazione  alla sua peculiare funzione di una scuola che deve saper unire una robusta formazione culturale ad una realistica preparazione ai mutamenti del mondo del lavoro, al quale prioritariamente è finalizzata.

 

2. La vera sfida, nella scrittura di norme applicative, doveva essere quella di procedere decisamente a delineare una moderna scuola per il mondo del lavoro, nell’ambito di una pari dignità tra i vari percorsi di istruzione e formazione. Questa sfida risulta cruciale per la riforma della scuola italiana, lungo la cui storia recente, nonostante le gloriose esperienze degli anni ’50-’70 degli istituti tecnici e professionali, si è troppo guardato e si guarda tutt’ora al lavoro con diffidenza e lontananza. Ancora oggi, diversamente da molte nazioni europee, il rapporto con questo mondo è lasciato al volontariato scolastico: basti pensare alla fatica costante nell’organizzare attività di stage e tirocini.  Sono queste le conseguenze, operanti anche nei vari ordini di scuola, di una eredità culturale idealistico-gentiliana di subalternità di scienza e tecnica alla cultura umanistica, insieme a molto deformato marxismo che ha sempre guardato con diffidenza tutto quanto è “azienda” o “impresa”. La vera sfida era e rimane quella di ridare valore formativo e nobiltà umana al lavoro in tutti i sensi,  secondo la grande tradizione formativa benedettina, del cattolicesimo sociale e del cooperativismo popolare dell’ottocento e del primo novecento.

 

3.  Gia nei confronti dell’art. 13 abbiamo sollevato due fondamentali obiezioni, che notiamo valide tuttora di fronte ai nuovi testi.

 a. L’inserimento degli istituti professionali quinquennali all’interno del sistema dell’istruzione secondaria statale, col conseguente venir meno della possibilità di conseguirvi il livello della qualifica triennale, peserà negativamente sulla fascia di popolazione giovane più debole. Se si tiene conto inoltre che solo poche Regioni sono in grado di offrire un percorso di formazione professionale adeguata il rischio di incrementare l’insuccesso scolastico e quindi l’emarginazione giovanile è evidente. Non solo quindi vanno mantenuti i percorsi di qualifica triennale, ma favoriti i rapporti tra gli istituti e tutte le strutture formative accreditate che hanno dimostrato di saper adeguatamente recuperare anche i casi più marginali di esclusione sociale.

b. La rinuncia a fare seriamente i conti con il dettato del Titolo V della riforma costituzionale ed il conseguente permanere di tutta l’istruzione tecnica e professionale in ambito statale, anche se fosse paradossalmente voluta da alcune Regioni o motivato da mancati sviluppi in queste di adeguati sistemi formativi, procurerà danno alla capacità del necessario rapporto con il mondo del lavoro e di stretto legame con le sue vocazioni territoriali. Inoltre questo viene a ridurre la formazione professionale regionale in una condizione ancora più residuale dell’attuale.

 

4. Quanto affermato invece come finalità generale e intenzione  deve trovare un organico e pratico sviluppo nelle norme applicative.

a.  Il percorso tecnico-professionale va certo semplificato e rinnovato negli indirizzi e  curricoli, per meglio identificarlo e  differenziarlo dal percorso liceale con cui negli anni novanta si è troppo assimilato. A questo scopo riteniamo utile la progressiva fusione di istruzione tecnica e professionale tale da evitare inutili doppioni.

b. La riduzione del numero delle discipline e del monte ore curricolare annuale (che non deve valicare le 36 specie nei professionali) deve scaturire da scelte di identificazione di discipline e attività caratterizzanti, con aumento della laboratorialità e del tirocinio e con la permanenza di organici che permettano le compresenze teorico-pratiche.

c. Va gradualmente ma pienamente attuato il decentramento del sistema dell’Istruzione tecnico-professionale, utilizzando il metodo spagnolo del passaggio “su richiesta” delle Regioni, con sistemi di incentivi a quelle che si rendono via via capaci di legiferare in materia.

d. Per favorire un più stretto rapporto tra scuola, territorio e imprese vanno favorite modalità di alternanza scuola-lavoro, tirocini, stage, che non possono più essere lasciati alla buona volontà e mendicanza delle scuole, ma ordinati per legge con precisi obblighi e incentivi per le imprese.

e. Va reintrodotta e potenziata la figura del docente tutor quale garante di un’attenzione della scuola ai percorsi personalizzati e differenziati per gli studenti in relazione alle diverse attitudini ed ai diversi stili cognitivi.

f. Nell’ottica di Istituti scolastici tecnico-professionali del secondo ciclo e della Formazione tecnica superiore, come veri e propri “campus” formativi che arrivino a gestire percorsi di tre, quattro, cinque e sette anni, va sempre tenuta aperta la possibilità di passaggio attraverso appositi percorsi condivisi tra i vari tipi di istruzione e formazione: tra licei e istituti tecnico-professionali e tra formazione professionale e istruzione secondaria superiore. Questo sarà possibile attraverso un sistema di certificazioni di competenze comuni da acquisire nelle  varie realtà in cui si declina l’intero sistema di istruzione superiore e di formazione.

 

5.  Notiamo con favore che le finalità generali ricordate vengano ribadite sia nello schema di Decreto presentato al CNPI  in attuazione della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, sia nel parere stesso del CNPI e sia nel  Disegno di Legge n. 2272 in discussione alla Camera dei Deputati.

Ma purtroppo quando si passa dalle finalità alle proposte le contraddizioni appaiono stridenti se non incomprensibili, salvo perseguire finalità estrinseche al rinnovo di un percorso formativo.

a.  Il riferimento generale dello schema di Decreto al “Progetto 2002” per il rinnovamento dei piani di studio e dei quadri orari degli Istituti Professionali va nella direzione opposta alle finalità dichiarate. Infatti l’impianto complessivo di quel testo, specie nel biennio mantiene la parcellizzazione e proliferazione delle discipline che ha caratterizzato il processo di licealizzazione di tutti i percorsi di scuola superiore negli ultimi 15 anni (fino a 12 materie) e riduce fortemente l’attività laboratoriale nell’area di indirizzo, oltre a confermare una terza area per la gran parte confusa ed ambigua.

b. I quadri orari allegati alla proposta di Decreto ed approvati anche dal CNPI non fanno che mantenere questa direzione caratterizzante il Progetto.

 

6.  Nell’ottica sopra ricordata, nella convinzione che l’elemento chiave del riordino dipenderà comunque dalla piena attuazione della autonomia delle istituzioni scolastiche  ed a sviluppo delle proposte precedenti, chiediamo che la prosecuzione del dibattito e la scrittura dei testi si misuri con le seguenti proposte:

a- il potenziamento dell’autonomia didattica fino ad una quota almeno del 30% del curricoli, la totale disponibilità del budget assegnato ai Consigli di Amministrazione con il semplice parametro pro capite, salvo le necessarie perequazioni, la possibilità di sperimentare una quota di reclutamento diretto di esperti, fino a giungere al reclutamento diretto sul territorio di tutto il personale;

b - poiché la possibilità di creare consorzi per l’istruzione superiore è giù attualmente normata, si incentivi proprio questa  opportunità con accessi diretti ai fondi sociali e l’attribuzione anche a questi Consorzi delle agevolazioni riconosciute alle Fondazioni;

c – in attesa di un più organico ripensamento di piani di studio, relativamente al quadro disciplinare e orario degli Istituti professionali dal settembre 2007, nell’area di equivalenza, si sostituisca l’insegnamento di diritto ed economia a favore di un incremento di ore delle discipline scientifiche e dei laboratori.  Inoltre si eliminino le TIC, che attualmente negli Istituti professionali non hanno una precisa identità,  e si devolvano le ore alle discipline linguistiche e matematiche per finalizzarle chiaramente, in forma trasversale, all’acquisizione delle competenze informatiche richieste a livello europeo.

 

 

                                                                                      La Direzione Nazionale

 

 

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