Scheda/Libro Bianco scuola: diagnosi e terapie


In attesa di valutare come associazione nel merito la ricerca proposta dal Ministero dell'Istruzione e dal Minstreo del Tesoro, pubblichiamo ampie sintesi divulgate ieri.

 

Ministero Pubblica istruzione – Comunicato stampa  -  23 settembre 2007

Schede Quaderno Bianco estratte dalla sintesi

 

Diagnosi
La quantità dell’istruzione migliora ma la qualità no

A una situazione in miglioramento per la quantità, corrisponde una situazione non positiva per la "qualità". Tutte le indagini internazionali convergono nel mostrare che gli studenti italiani hanno un significativo ritardo nei livelli sia di conoscenza, sia di competenza, ovvero nella capacità di utilizzare conoscenze e abilità in contesti specifici che caratterizzano le condizioni di vita odierne.
Assai elevate sono le differenze di risultato fra le singole scuole (anche dello stesso indirizzo) - il 57 per cento della varianza totale delle competenze è fra studenti di scuole diverse, anziché all’interno della stessa scuola, contro il 34 per cento nella media OCSE - rivelando un sistema poco equo, dove è accentuata la concentrazione degli studenti con situazione socio-economica meno favorevole e la connessa segmentazione delle scuole secondo la qualità.
Assai elevato è anche il grado di analfabetismo funzionale della popolazione adulta: sarebbero circa due milioni le persone in questa situazione in Italia, concentrati nella fascia d’età compresa tra i 46 e 65 anni e prevalentemente al Sud. Permane una quota ancora importante di individui dotati della sola licenza elementare (il 25 per cento nella fascia di età 15-65 anni), e la partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente è modestissima in tutte le aree del paese (solo il 7 per cento). Forti sono le ripercussioni negative di questo fenomeno anche sulla quantità e qualità di istruzione dei figli.
 

Diagnosi
La Formazione degli organici

Il rapporto insegnanti per 100 studenti è decisamente più alto che negli altri paesi OCSE, in tutti gli ordini di scuola: in media circa 1 punto e mezzo in più, effettuando il confronto per il 2004 su aggregati comparabili.
Oltre alle caratteristiche del territorio, si riflettono su questo valore sia previsioni normative relative al tempo scuola (tempo pieno in tutta la scuola dell’infanzia, tempo pieno nel 25 per cento della scuola elementare e in 28 per cento della scuola media, orari curriculari eccessivi in alcuni indirizzi della scuola secondaria superiore), sia le specifiche modalità nazionali di inserimento nelle classi degli alunni diversamente abili, sia la capillare diffusione del servizio e della formazione delle classi distribuite in oltre 42 mila sedi scolastiche su un territorio caratterizzato dalla presenza da oltre 7 mila piccoli comuni, sia una non soddisfacente efficienza della programmazione della rete scolastica.
Per quanto riguarda la dimensione delle classi, si osserva un forte squilibrio verso la piccola dimensione, ben al di sotto dei valori indicati dalla normativa.
La carenza di una programmazione di medio-lungo termine del fabbisogno di insegnanti fa sì che non vi siano motivazioni e incentivi appropriati affinché Regioni, enti locali e istituzioni scolastiche sfruttino le flessibilità organizzative (in termini di orario, di debordo consentito dalle dimensioni di riferimento, di allocazione all’interno di bacini di utenza più ampi, di riordino delle scuole, etc.) al fine di garantire il diritto allo studio in un quadro di maggiore efficienza e di concentrare così le risorse su una maggiore qualità del servizio, nonché di rispondere alla crescente domanda di scuola dell’infanzia, di tempo pieno e di inserimento efficace di alunni diversamente abili. Vi sono situazioni virtuose, come mostra la forte variabilità dei rapporti rilevanti che non appaiono correlati con la quantità del servizio offerto. Ma in generale non vi è convenienza per i soggetti locali a rendere più efficiente la rete perché il territorio in cui ciò dovesse avvenire non ha garanzia di non ritrovarsi successivamente a sostenere tagli simili a quelli chiesti a territori non virtuosi. Vengono così meno le condizioni affinché gli obiettivi fissati dallo Stato possano essere effettivamente conseguiti e non deve dunque sorprendere l’inefficacia dei ripetuti tentativi di ridurre il rapporto insegnanti/studenti con interventi emergenziali calati dall’alto.
Nella determinazione dell’organico si è sedimentato un "metodo contrattuale" e in due stadi ("diritto" e "fatto") che, se riconcilia la responsabilità centrale di spesa e il frazionamento di responsabilità, è fonte di opacità e tensioni, dove ragioni e torti del territorio si confondono e frenano l’applicazione di indirizzi generali. Allo stesso modo, il doppio stadio, se riduce il rischio di irrigidire la domanda di insegnanti in un contesto dove è mancata la programmazione di un lungo periodo, è fonte di grave incertezza e discontinuità per studenti, insegnanti e autorità di spesa. E’ evidente che siamo in presenza di un’organizzazione decisamente migliorabile e che una programmazione del fabbisogno di insegnanti ne è un requisito fondamentale che potrebbe consentire la definizione di un reale organico funzionale.
 

 

Diagnosi
La centralità della valutazione

Il prolungato insuccesso nell’avviare un sistema nazionale di valutazione sugli apprendimenti, anche dopo l’avvio del decentramento, è un fattore importante del ritardo italiano. Ha impoverito gli strumenti a disposizione degli insegnanti per orientare la propria attività; ha privato le autorità di governo della scuola della possibilità di apprezzare i risultati del sistema e di fissare operativamente standard di apprendimento; non ha permesso l’adozione di strumenti innovativi per monitorare e favorire i progressi delle singole scuole; ha tolto, assieme alle incertezze sulla credibilità dei titoli, uno strumento di guida per studenti, famiglie e interessi del territorio.
In base all’esperienza internazionale, la limitazione della misurazione degli apprendimenti alle sole conoscenze e competenze misurabili e la sofisticazione dei metodi con cui valutare il contributo della scuola a questi risultati (scontando le origini sociali degli studenti e il contesto territoriale) richiedono che l’utilizzo della valutazione, qualunque esso sia (per azioni rimediali, promozione di voice o exit degli studenti, incentivazione delle scuole e degli insegnanti, integrazione dell’autovalutazione), non avvenga con automatismi. Gli automatismi, specie se perduranti e rigidi nel tempo, tendono a produrre effetti perversi sulla qualità della scuola, quali la distorsione dei contenuti dell’insegnamento, la penalizzazione delle eccellenze e delle situazioni di massimo ritardo, fino all’emarginazione delle sezioni più deboli della popolazione studentesca. E’ tuttavia possibile utilizzare in modo appropriato la valutazione degli apprendimenti e del valore aggiunto della scuola. A questo fine è opportuno:

misurare sia conoscenze e abilità, sia competenze;

valutare i progressi degli studenti nel tempo, anziché effettuare confronti fra scuole o nel tempo di aggregati studenteschi diversi;

assicurare flessibilità e modificabilità nelle regole di impiego dei risultati della valutazione;

combinare utilizzi diversi dei risultati, attivando, a un tempo, l’azione rimediale disegnata con insegnanti e scuola, l’incentivo contrattuale e la promozione dell’attivismo da parte degli utenti del servizio;

fornire alle scuole e agli insegnanti un supporto affinché i risultati delle valutazioni divengano parte del miglioramento concreto dell’azione educativa.
I tentativi di costruire un sistema nazionale di valutazione in corso da oltre quindici anni non hanno ancora sortito un risultato. La reazione degli insegnanti non è mancata: in molte realtà, in larga misura del Nord, la realizzazione di percorsi di autovalutazione, la costruzione di reti fiduciarie fra scuole, i rapporti con il tessuto economico territoriale (per gli istituti tecnici e professionali), il ricorso esteso a OCSE-PISA o a valutazioni esterne ad hoc hanno dato impulso e strumenti per indirizzare l’azione formativa e migliorarne l’efficacia. Ma, oltre alla natura territoriale circoscritta, queste esperienze non possono permettere quella verifica e tutela di standard nazionali di apprendimento e quel confronto su dati condivisi che è proprio di un sistema scolastico nazionale. Sono le debolezze che hanno concorso alla sofferenza del sistema italiano.
L’esperienza italiana mostra comunque che:

la valutazione (anche esterna) è richiesta dalla maggioranza degli insegnanti, anche se esiste una minoranza contraria che la vede come uno strumento di controllo, anziché un mezzo per migliorare;

nelle esperienze locali, dove si manifesta l’autonoma volontà delle scuole di ricorrere alla valutazione, anche esterna, vi è grande attenzione alle modalità di circolazione dei risultati;

l’insuccesso dei tentativi di costruire un sistema nazionale di valutazione è legato in forte misura all’assenza di chiarezza circa il suo utilizzo e ad una sottovalutazione dello straordinario impegno di ricerca, organizzativo e professionale necessario per raggiungere quel risultato;

manca una base informativa di riferimento: i risultati delle indagini esistenti non sono tutti facilmente accessibili e in generale si è fatta troppa poca "valutazione degli effetti della valutazione".
 

Diagnosi
La questione del Sud e del Centro

Una corretta valutazione dei divari territoriali conferma che per affrontare il problema dei risultati particolarmente modesti del Sud non basta, come pure è necessario, affrontare i problemi generali di questa area, ma occorre dedicare alla scuola un’azione diretta. Un esercizio quantitativo di simulazione condotto nel Quaderno conferma il peso che il contesto territoriale (infrastrutture, situazione culturale e sociale delle famiglie, spesa, etc.) ha sui cattivi risultati del Sud, ma mostra anche che al netto di tale effetto rimarrebbe comunque un divario assai significativo rispetto al Nord e che tale divario si avrebbe in simile misura anche a discapito del Centro. Insomma, nel Centro e nel Sud sembrano manifestarsi (assieme a problemi specifici di carenza di infrastrutture e attrezzature) problemi nazionali di organizzazione e funzionamento della scuola che evidentemente il Nord riesce in parte a compensare.
L’azione di governo può incidere su molti dei fattori critici della scuola. Per accompagnarla serve tuttavia, specie nel Sud, una forte mobilitazione politica e culturale che, sulla base di obiettivi credibili derivati da una programmazione coerente e a medio-lungo termine dei fabbisogni e da una valutazione di risultati raggiunti a fronte dei livelli essenziali di qualità del servizio, favorisca il rafforzamento del rapporto fiduciario tra Stato e insegnanti, promuova la ricerca in campo educativo e attivi un’allerta delle aspettative e una pressione positiva (voice) dell’opinione pubblica.

 

Terapia
Un modello per programmare gli organici

La programmazione, anche a lungo termine, del fabbisogno di insegnanti e del personale tutto è uno dei requisiti fondamentali per migliorare organizzazione del lavoro e carriera degli insegnanti, e per superare l’incertezza in cui vivono molte scuole, muovendo verso la definizione pluriennali degli organici, affinché non si torni alla creazione di un nuovo precariato. E’ anche lo strumento con cui raggiungere, al di fuori di logiche emergenziali, l’allocazione efficiente delle risorse finanziarie. Un primo passo in questa direzione è un modello prototipo di simulazione, presentato in questo Quaderno. Il modello consente, sulla base di scenari di previsione demografica dell’Istat, una stima delle tendenze in atto del fabbisogno territoriale di insegnanti per ordine di scuola e regione, da oggi fino all’orizzonte 2026/2027. Permette anche una valutazione degli impatti differenziali di scelte alternative di policy relative ad alcuni parametri importanti del sistema.
Nella migliore delle due ipotesi - quella in cui fosse assai forte il rimbalzo del tasso di fertilità – la simulazione presenta un quadro di sostanziale stabilità caratterizzata da un progresso lieve della popolazione in età scolastica (fra 3 e 21 anni) che tornerebbe, al termine dei 20 anni presi in esame, al livello di oggi. Nell’altra ipotesi - dove pure il tasso di fecondità risale, ma meno - la popolazione in età scolastica scenderebbe progressivamente già a partire dalla fine di questo decennio, fino a raggiungere a distanza di 20 anni un valore di circa 1 milione inferiore a oggi.
Per date ipotesi di lavoro in merito alle fuoriuscite di insegnanti dal sistema (per collocamento a riposo, per cessazione dal servizio e per dimissioni volontarie), viene stimato il flusso prevedibile di nuove entrate (in aggiunta all’inserimento in ruolo già deciso e avviato per 150 mila precari):

entro l’anno scolastico 2011/2012, sempre nel quadro tendenziale, si dovrebbero reclutare fra 70 e 90 mila nuovi insegnanti, contribuendo sostanzialmente a superare il meccanismo delle graduatorie a esaurimento.

questa cifra salirebbe a 170-220 mila entro il 2016/17, con una forchetta che si va ampliando nel tempo;

a 15 anni da oggi sarà stato rinnovato tra il 34 e il 44 per cento del corpo docente;

assai forte risulta, infine, la diversità nell’andamento del fabbisogno a seconda delle regioni (per effetto di scostamenti rilevanti nei tassi di fecondità e nei flussi migratori), con una dinamica positiva, nei prossimi 5 anni, nel Nord (a eccezione della Liguria) e nel Centro, e un calo in tutto il Sud.

Sulla base dello scenario tendenziale e delle lezioni apprese è possibile simulare ipotesi alternative che consentano di identificare gli interventi che il sistema scolastico nel suo insieme e i diversi livelli di governo che ne sono responsabili devono realizzare per una migliore allocazione delle risorse finanziarie nel settore, portando strutturalmente e gradualmente - nel contesto di una maggiore stabilità del personale - il rapporto insegnanti/studenti a valori di appropriatezza, ossia coerenti con gli standard nazionali del servizio e gli obiettivi di apprendimento espressi in termini di saperi e competenze. Si tratta di interventi sulla formazione delle classi, sulle infrastrutture scolastiche, sull’adeguamento della aule agli standard previsti dalla normativa, sulla riorganizzazione dei plessi e della rete scolastica e sulla realizzazione di un sistema di aggiornamento e riqualificazione professionale.
Il Quaderno argomenta che gli interventi indicati e ogni altra misura possono trovare attuazione solo attraverso un confronto tra Stato, Regioni, enti locali e istituti scolastici.
 

 

Terapia
Proposte per un sistema nazionale di valutazione

La maggioranza dei paesi economicamente avanzati è dotata di sistemi nazionali di valutazione. Fino a oggi l’Italia ha fatto eccezione. La proposta del Quaderno, desunta dalle lezioni internazionali e nazionali, mira a creare una discontinuità attraverso la realizzazione graduale ma a tappe predefinite di un servizio la cui credibilità e utilità per scuole e insegnanti, per studenti e territorio, sia rapidamente percepita.
La proposta prevede assieme:

la realizzazione del sistema nazionale di valutazione incentrato sull’INVALSI, che comprenda due distinte funzioni: sia la realizzazione di una rilevazione nazionale di alto livello tecnico sugli apprendimento, sia un programma permanente di supporto alle scuole per l’analisi e l’utilizzo della valutazione e per l’elaborazione di diagnosi valutative di scuola;

il rilancio della ricerca educativa e valutativa (in luoghi autonomi e diversi dall’INVALSI);

il consolidamento e la diffusione delle pratiche e reti di diagnosi valutative di scuola (autovalutazione);

il rafforzamento della credibilità dei titoli di studio.
L’INVALSI dovrebbe realizzare una rilevazione censuaria e annuale dei livelli di apprendimento, per cinque livelli di scolarità (gli anni 2, 5, 8, 10 e 13 del percorso scolare) e (per cominciare) tre aree disciplinari “di base”, e delle altre informazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto delle scuole.
Sulla base degli esiti della valutazione censuaria verrebbe avviata l’azione di “team di supporto” nazionali, composti da esperti qualificati (con competenze didattiche, di valutazione e relazionali) che, attraverso missioni presso le scuole, prioritariamente quelle con criticità, dovrebbero mettere l’istituzione scolastica nella condizione di: discutere e approfondire i risultati della valutazione nazionale, anche nel confronto con altre valutazioni; favorire il confronto tra scuole e la creazione di reti; elaborare una diagnosi valutativa; individuare obiettivi e azioni per ridurre le criticità e migliorare i risultati. A questi ultimi si aggancerebbero gli interventi innovativi su organizzazione e carriera esposti più avanti. Il flusso di conoscenze che dalle scuole potrà così investire il livello nazionale (componente bottom-up del sistema), incontrandosi con lo sviluppo di nuove metodologie di misurazione e con una ripresa della ricerca, potrà gradualmente creare e consolidare una prassi nazionale di valutazione indispensabile per la scuola italiana.

(fonte: Ufficio stampa Ministero PI)

 

 

Quaderno bianco sulla scuola. Bianco o nero?

Dallo spazio che la stampa nazionale ha riservato all’iniziativa non si direbbe che abbia fatto colpo il "Quaderno bianco per la scuola" che è stato presentato a Roma dal ministro della pubblica istruzione Fioroni, con intervento finale del presidente del Consiglio Prodi. Il ministro dell’economia Padoa-Schioppa non è intervenuto per un contrattempo dell’ultimora.
Autori infatti sono, congiuntamente, il Ministero dell’Economia (che aveva già promosso in proprio il libro verde sulla spesa pubblica, quello che accennava a un taglio nella scuola di 47.000 posti entro il 2008-2009) e il Ministero della Pubblica Istruzione. Si tratta di un poderoso fascicolo di 289 pagine, diviso in una introduzione dei due ministri, due parti (Fatti, Effetti, Determinanti e Interventi), nove capitoli e cinque appendici, nelle quali si dimostra in primo luogo, sulla base di numerosi dati comparativi internazionali (soprattutto la nota indagine OCSE-PISA), che in Italia il divario di competenze tra studenti del Nord e del Sud è enorme e non è giustificabile facendo riferimento alle sole risorse finanziarie investite, che anzi in alcuni casi sono più consistenti al Sud.
In controtendenza si sono poste, in questi anni, solo le rilevazioni INVALSI per gli apprendimenti nella scuola primaria, che danno un leggero vantaggio alle scuole meridionali, ma che molti – a partire dall’attuale dirigenza INVALSI – giudicano inattendibili anche perché costantemente contraddette dai dati delle comparazioni internazionali.
Il Quaderno bianco tratta molti altri temi, tra i quali la crescita del numero di studenti stranieri, il reclutamento dei docenti e la loro (ri)motivazione attraverso forme di incentivazione, che dovrebbero essere legate alla valutazione del loro lavoro: un’impresa finora mai riuscita in Italia a nessun governo.


Quaderno bianco sulla scuola. E la nuova finanziaria?

Il premier Romano Prodi, intervenendo alla presentazione del "Quaderno bianco", l’ha definito uno strumento di grandissima utilità: «Serve a darci un profilo per una politica che duri a lungo, per vent'anni. Possiamo dunque avere obiettivi di lungo termine, possiamo individuare risorse, strumenti e decisioni politiche in modo che la scuola possa avere una strategia di lungo periodo». Secondo Prodi alla scuola spetta anche il compito di rilanciare la produttività del Paese attraverso la formazione scientifica e tecnica, perché, in caso contrario, «il Paese non reggerà la competitività dell'economia di domani». Il premier ha parlato anche di precariato e di altri problemi meritevoli di programmazione.
La circostanza che il "quaderno" sia stato presentato una settimana prima del varo della nuova finanziaria sarà casuale? Razionalizzazione o sviluppo?
C’è, ad esempio, un tema che emerge in vario modo nel quaderno: quello degli organici, che dall’analisi risulta fattore di squilibrio tra quantità di risorse professionali impiegate e qualità dei risultati ottenuti. Si evidenzia impietosamente – la verità è nota da anni – che l’Italia ha, da una parte, uno dei più bassi rapporti in Europa nel numero di alunni per docente, mentre l’Ocse gradua la scuola del nostro Paese nelle medie più basse per livelli di apprendimento.
La nuova finanziaria vorrà investire per migliorare la qualità del servizio o vorrà razionalizzare le risorse (tagliare organici) per investire nel cambiamento e nella formazione?
Il "quaderno" sarebbe, in questo modo, una prova documentata delle scelte che verranno fatte.


Quaderno bianco sulla scuola. Emergenza valutazione

Il Quaderno bianco MEF-MPI dedica un particolare approfondimento alla questione della valutazione di sistema, che in Italia ha una storia recente e tormentata.
Nella Introduzione a firma Padoa Schioppa-Fioroni si legge che "accanto alla necessità di costruire su basi informative più robuste e accessibili una programmazione di medio-lungo periodo degli organici" l’altro requisito indispensabile per intraprendere un sentiero stabile di miglioramento della qualità della scuola è la costruzione di un sistema di valutazione nazionale, incentrato sull’INVALSI. La proposta, che viene lanciata a tutti i soggetti interessati a una scuola di qualità (gli inglesi parlerebbero di "stakeholders"), è quella di "avviare, a un tempo, una rilevazione nazionale, annuale, di alto livello tecnico, diffusamente condivisa, dei livelli di apprendimento degli studenti e dei loro progressi e, assieme, un programma permanente di supporto alle scuole per l’analisi e l’utilizzo della valutazione e per l’elaborazione di diagnosi valutative di scuola".


Quaderno bianco sulla scuola. Nessun precario, tutti precari

Il ministro Fioroni è stato chiaro. In occasione della presentazione del "Quaderno bianco" sulla scuola ha detto che nei prossimi cinque anni si provvederà "alla stabilizzazione non solo dei centocinquantamila precari già previsti lo scorso anno ma anche di tutti coloro che stanno nelle graduatorie fino ad esaurimento". Concetto ribadito dal presidente Prodi, intervenuto alla presentazione, secondo il quale il Quaderno bianco "ci dà uno strumento che ci porta a chiudere il precariato e mai più riaprirlo".
Dovrebbero essere soddisfatti anche quei "precari indignati", che temevano che il piano di immissioni in ruolo non avrebbe esaurito le graduatorie, e che hanno inviato ai giornali e alla stampa specializzata un appello disperato contro il ripristino dei concorsi, a regime, come canale ordinario di reclutamento, operazione che li avrebbe espulsi dalla scuola: prima bisogna rispettare "i diritti acquisiti con tanta fatica e sacrificio", scrivono nel loro comunicato.
Ebbene, se il ministro Fioroni manterrà la sua promessa, e se le prospettive aperte dal "Quaderno bianco" si concreteranno, non ci saranno più precari nel senso tradizionale, cioè insegnanti provvisori, a tempo determinato, supplenti annuali, ma in compenso tutti gli insegnanti potrebbero essere sottoposti a forme di valutazione del loro lavoro che li renderanno in qualche modo... precari. Non avrebbe senso, d’altra parte, che solo per i futuri nuovi insegnanti valesse la regola del controllo della loro attitudine attraverso la valutazione del tirocinio. Se valutazione dei comportamenti professionali deve esserci, come c’è in moltissimi altri Paesi, deve essere per tutti.


Quaderno bianco sulla scuola. Ecco chi ha scritto il Quaderno

In apertura del Quaderno, prima dell’introduzione dei due ministri, si trova l’elenco degli autori del rapporto.
Per il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno collaborato Fabrizio Barca e Rita Cicchiello; per il Ministero della Pubblica Istruzione i due capi dipartimento Emanuele Barbieri e Giuseppe Cosentino, nonché Gianna Barbieri e Rocco Pinneri; per il Ministero dello Sviluppo Economico-Dipartimento Politiche di Sviluppo, Aline Pennisi.
"Contributi, spunti, suggerimenti ed esercizi indispensabili lungo tutto il lavoro", prosegue la nota, sono stati forniti da Daniele Checchi (Università di Milano), Piero Cipollone (presentato come "Banca d’Italia" anziché come Commissario INVALSI), Salvatore Modica (Università di Palermo), Antonio Schizzerotto (Università di Trento), coadiuvati da Chiara Castelletti Croce (Dirigente tecnico del Ministero della Pubblica Istruzione) e Bruno Losito (Università di Roma Tre, già ricercatore del CEDE, poi INVALSI).
La cura dei testi è stata effettuata da Paola Favale e di Tiziana Galliani, che ha anche curato l’organizzazione del lavoro del gruppo e la trascrizione dell’audizione contenuta in Appendice. In qualità di esperti sono stati ascoltati Giorgio Allulli, Giovanna Barzanò, Erich Battistin, Maria Rita Chiaramonte, Gaetano Domenici, Liliana Dozza, Luigi Fabbris, Enrico Gori, Pietro Lucisano, Silvana Mosca, Vega Scalera, Ugo Trivellato e Benedetto Vertecchi.

(fonte: Tuttoscuola)

 

 
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