La sentenza della Corte Costituzionale sulla parità scolastica


Col numero 42/2003 è stata depositata, giovedì 6 febbraio, la sentenza del 30 gennaio scorso con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum popolare proposto per l’abrogazione parziale della legge n° 62/’00 della parità scolastica. Riportiamo di seguito l’estratto della sentenza nella parte relativa alle motivazioni e al dispositivo finale; il testo integrale è reperibile all’indirizzo web: www.cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/pronunce/schedaDec.asp?Comando=LET&NoDec=42&AnnoDec=2003&TrmD=&TrmM=
REPUBBLICA ITALIANA - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO -LA CORTE COSTITUZIONALE
…omissis…
2. ¾ La richiesta di referendum abrogativo è inammissibile sotto più profili.
Per apprezzare appieno il primo profilo è necessario stabilire il significato che assume, nell'economia complessiva del quesito, la richiesta di eliminare, nel primo periodo del comma 1, le parole “e dalle scuole paritarie private”. La disposizione, letta nella sua formulazione di risulta, suonerebbe così: “il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'art. 33, secondo comma, della Costituzione [la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi], è costituito dalle scuole statali e degli enti locali”. Le scuole private sarebbero pertanto espunte dal sistema nazionale. L'esame dei commi successivi, non coinvolti dalla richiesta di abrogazione popolare, fornisce però una indicazione del tutto opposta, poiché mostra che le scuole paritarie, lungi dall'essere abolite, continuerebbero a formare oggetto di regolamentazione e di qualificazione. Sono infatti così definite “a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti e in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli orientamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità e di efficacia” puntualmente enumerati. Si richiedono in particolare: un progetto educativo in armonia con i principî della Costituzione; un piano dell'offerta formativa; l'attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola; l'istituzione di organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; l'iscrizione alla scuola di tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta; l'inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; l'organica costituzione di corsi completi; il possesso di un titolo di abilitazione da parte del personale docente; la stipulazione di contratti individuali di lavoro per il personale dirigente ed insegnante che rispettino i contratti collettivi di settore e, non ultimo, il divieto di rendere obbligatorie attività extra-curriculari che presuppongano o esigano l'adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa.
La richiesta referendaria risulta dunque intimamente contraddittoria. Le scuole paritarie, che, per effetto di una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla stregua della disciplina più dettagliata che non è toccata dal quesito referendario. Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non potrebbero infatti non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce “obiettivo prioritario della Repubblica”, vale a dire “l'espansione della offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita” (comma 1, secondo periodo). Non si tratta di un profilo di contraddittorietà secondario e marginale, quale può presentarsi nelle richieste di referendum parziali, a causa della incompleta ripulitura della normativa residua, nella quale siano lasciate parole o proposizioni incoerenti con le restanti previsioni. Al contrario è qui investita la ratio del quesito. Una volta che il legislatore abbia istituito un sistema scolastico nazionale, espungerne una categoria di scuole che restano assoggettate, per gli aspetti legislativi sopra analiticamente ricordati, al medesimo e comune regime richiesto dall'art. 33, quarto comma, Cost. ai fini della parità, risulta non solo contraddittorio ma anche discriminatorio.
In un regime di esclusione concettuale dal sistema nazionale qual è quello cui tende la richiesta referendaria, una parità effettiva, che non si riduca a mera declamazione verbale, non è concepibile. L'esclusione delle scuole private non sarebbe soltanto un principio privo di conseguenze, tale da far ritenere che un sufficiente sostegno allo status paritario delle scuole private possa comunque essere offerto dalle norme presenti nei successivi commi. Le formulazioni di principio, infatti, non sono mai vuote e inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici carichi di valore, capaci di imprimere al sistema normativo al quale afferiscono direzione e orientamento, di immettervi virtualità interpretative altrimenti assenti e di ovviare alle eventuali imprecisioni o alle lacune in questo riscontrabili. E nella specie il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità; donde la contraddittorietà del quesito.
3. ¾ Sotto un diverso profilo, la richiesta di referendum è inammissibile per disomogeneità del quesito. Si chiede infatti simultaneamente l'abrogazione dei commi 5 e 9, ma altro è eliminare l'agevolazione che viene assicurata alle scuole paritarie e consistente nel potersi avvalere anche delle prestazioni volontarie di personale docente o di prestatori d'opera professionale (comma 5), altro è precludere il sostegno alle famiglie degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal rimborso della spesa sostenuta e documentata per l'istruzione scolastica (comma 9). Vengono in tal modo unificati oggetti rispetto ai quali la scelta dell'elettore non può essere costretta in un solo quesito.
per questi motivi
La Corte costituzionale
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell'articolo 1, commi 1, 5, 9 e 15 della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione), nonché dell'intero comma 13 dell'articolo 1 della medesima legge; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza 9 dicembre 2002 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2003.
…omissis… (fonte: Dipartimento Scuola Forza Italia)
 
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