Riprendiamo dal sito della associazione APEF
L'indagine della FONDAZIONE GIOVANNI AGNELLI sui docenti italiani
Il panorama delineato, a premessa dell’indagine, pone in evidenza due gravi limiti della scuola italiana: la qualità degli apprendimenti degli alunni risulta, mediamente, inferiore a quelli degli altri paesi sviluppati; la scuola italiana non riesce ad essere un fattore di ascesa sociale e di promozione del talento.
Sia pure con eccezioni, negli ultimi decenni la qualità dell’insegnamento è andata scadendo perché penalizzata dalla mancanza di formazione aggiornata del personale docente, dall’assenza di meccanismi di carriera che fossero svincolati dall’anzianità di servizio. Tutto ciò ha contribuito ad appannare il prestigio professionale della professione docente.Nella scuola si sta per aprire una fase di ricambio generazionale del corpo docente. Questo accelerato turn-over costituisce una buona opportunità per innalzare la qualità dell’insegnamento, investendo risorse sulla verifica e sul rafforzamento delle competenze degli insegnanti di oggi e sulla formazione di quelli futuri.
L’indagine sui docenti neoassunti è stata condotta mediante questionari compilati su base volontaria, proposti loro nell’ambito dei corsi di formazione obbligatori durante il primo anno di servizio. Dei 10.872 docenti compilatori, distribuiti equamente nelle tre Regioni, 9.047 hanno compilato il questionario in tutte le sue parti, consentendo di utilizzare le loro opinioni per l’elaborazione.
Alcuni elementi oggettivi che emergono dall’indagine sono:
nella scuola dell’infanzia e nella primaria la presenza femminile nel corpo docente è largamente predominante, mentre nella secondaria di primo e secondo grado la quota dei docenti maschi è ancora significativa, pur registrando una leggera flessione rispetto al passato;
l’età media dei docenti di ruolo sta aumentando; aumenta l’età media dei docenti al momento dell’assunzione a tempo indeterminato. Il 40% dei neo-assunti ha un’età compresa tra i 40 e i 50 anni; il 60% un diploma di laurea e per circa la metà di loro il titolo ricade nell’ambito letterario-giuridico-filosofico; la media degli anni di precariato è di 10,7;
le scuole di specializzazione costituiscono un canale privilegiato per abbreviare i tempi dell’immissione in ruolo. Il 17% degli intervistati è in possesso di diploma di specializzazione e di loro, solo, il 15,3% ha più di 10 anni di supplenze;
ben il 18,4% degli intervistati risiede in una regione diversa da quella di assunzione e il 18% degli intervistati chiederà il trasferimento in altra regione nel prossimo triennio.
Agli intervistati è stato anche chiesto di esprimere la propria opinione su alcune questioni emergenti:
le rilevazioni internazionali sugli esiti degli alunni;
l’adozione di un sistema di valutazione e di progressione di carriera per i docenti;
l’assunzione diretta di una parte del personale.
Riguardo le rilevazioni internazionali (es. OCSE-PISA) i docenti sono sostanzialmente d’accordo nel ritenerle utili per far riflettere i decisori politici sull’efficacia del sistema educativo e utili agli insegnanti, perché possano confrontare il livello di competenze degli alunni.
L’atteggiamento verso l’adozione di un sistema nazionale di valutazione è differenziato tra gli intervistati, ma sostanzialmente positivo, così come nei riguardi di una progressione di carriera. Il 67 % degli intervistati ritiene utile differenziare i percorsi di carriera in funzione del diverso impegno nell’insegnamento, il 62,9 % è favorevole ad una differenziazione che tenga conto dell’assunzione di maggiori responsabilità organizzative e di coordinamento, il 47,4 % ritiene che occorrerebbe differenziare le retribuzioni in base a standard di complessità (contesto sociale e ambientale, numerosità di alunni con bisogni specifici, …), il 41,2 % ritiene necessario il riferimento ad una misurazione della professionalità in base a standard regionali/nazionali.
Assolutamente imprevista ed incoraggiante la posizione dei docenti riguardo una questione fondamentale per la piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, ovvero l’assunzione diretta di una parte del personale. Pur essendo una questione controversa, è assai interessante rilevare che il 43,9 % dei docenti intervistati è favorevole.
In definitiva, lo studio della Fondazione Agnelli, condotto su un così ampio campione di docenti, denuncia in modo chiaro la necessità di cambiamenti sostanziali nel sistema scolastico italiano. La partecipazione così nutrita dei neoimmessi in ruolo al sondaggio costituisce un elemento sicuramente positivo. L’opinione favorevole delle nuove leve docenti nei riguardi della valutazione meritocratica e dell’introduzione della progressione di carriera è l’elemento più importante che emerge. La professionalità docente, tanto svilita, deve riappropriarsi del proprio ruolo sia all’interno del sistema dell’istruzione nel suo complesso che a livello sociale, e questo non può essere disgiunto dalla necessaria rimotivazione all’insegnamento.
La scuola deve ritornare ad essere lo strumento di ascesa sociale per i cittadini e di promozione del talento di ciascuno, quindi non solo una “scuola del recupero” ma anche una scuola di valorizzazione delle capacità personali e delle eccellenze. Uno sforzo molto impegnativo, che oltre ad interventi di tipo strutturale e di ridisegno complessivo, che auspichiamo siano condotti in porto dall’attuale legislatura, richiederà un’azione incisiva dei docenti chiamati a mettere in atto di metodologie didattiche innovative.
Perché ciò avvenga in modo non sporadico e non solo nelle sedi di eccellenza, quelle dove docenti molto attivi e dirigenti illuminati precorrono i tempi; è necessario che, oltre ad una formazione dei docenti al momento del reclutamento, sia costantemente attiva una formazione dei docenti in servizio, attraverso la quale essi possano acquisire conoscenze di nuove metodologie e competenze di applicazione delle stesse nelle classi, attivando una vera e propria ricerca-azione.