"Tra giudizi e numeri: un'opportunità per reinterrogarsi sul senso della valutazione degli alunni"
Relatrice Dott.ssa Feliciana Cicardi.
Dirigente scolastica e pedagogista
Seminario regionale DiSAL
Mercoledì 12 novembre 2008 FIERA ABC GENOVA
Buongiorno a tutti, anche se è una giornata piovosa…. però guardavo fuori un attimo fa il mare… è sempre meglio che parlare a Milano vedendo i tetti dall’alto. Da questo punto di vista c’è un buon auspicio perché anche
E’ curioso: quando mi hanno chiesto di intervenire a questo salone della Tecnologia (negli anni passati si chiamava Tecnodid, se non sbaglio) e ci venivano i miei colleghi che lavoravano sulle tecnologie, learning e quant’altro…ora parlare di valutazione è come parlare di qualcosa di avulso da questo contesto. In realtà un aggancio ci può essere: anche tutto il dibattito che si sta facendo ora a partire dal Decreto, poi convertito in leggi, rispetto ai voti numerici è inquinato da una concezione, da una tendenza a concepire la valutazione quasi come una tecnica.
Come possiamo valutare meglio? Se qui è presente qualcuno che come me ha più di 30 anni di servizio, si ricorda tutto il dibattito sulla questione dell’oggettività della valutazione: grande parola, la bandiera di vari cambiamenti relativi proprio agli strumenti di valutazione, in realtà l’oggettività va cercata in un certo modo e non nello strumento specifico.
Ho lavorato molto, e per molti anni, sulla valutazione, compreso anche il discorso sul Portaolio che, dico, purtroppo, - è un parere soggettivo – è stato cancellato in modo improprio, senza valutare quale valenza avesse dentro, però credo che accanto al discorso di valutazione un discorso di autovalutazione, soprattutto per gli studenti delle medie e delle superiori, è molto, molto importante.
Però, come ho detto, è una parola che è stata cancellata.
Perché c’è così tanto sconcerto sul cambiamento dalla valutazione su scala nominale a una valutazione con i numeri (in voti decimali, come dice la legge)? In realtà, il problema non è quello.
Innanzitutto, tutta la querelle che ne è seguita e che si sta seguendo ancora è determinata da un fraintendimento tra tre parole, che sono:
L’esercitazione, cos’è? Un sostegno per consolidare un apprendimento, quello che diamo agli alunni, che devono imparare l’equazione, la divisione a 2 cifre…. e non dovrebbe essere valutata. Che poi l’insegnante dica: “Va bene, non va bene” al ragazzo, è un’altra cosa, ma non deve essere valutata. Se devo imparare ad andare sula cyclette, non devo vedere se ho fatto 30 –
La verifica invece è una misurazione. Che cos’è la misurazione? La misurazione è l’accertamento del conseguimento o meno degli obiettivi che mi sono prefissata per un certo apprendimento. La misurazione in genere è espressa in termini numerici.
Quando è stato cambiato il modo di valutare (sufficiente – buono – distinto….), cos’è successo? Ancora oggi accadono fenomeni paradossali quando un docente deve correggere un tema, un problema o un altro lavoro: abbiamo il buono +, il sufficiente -…scuate la franchezza, ma ho girato l’Italia….. Quando vado a parlare della valutazione, ancor prima di questo decreto, mi dicono: “Se abbiamo buono - -, come fa media col distinto + +….?”
Questo dice molto dell’incertezza che governa l’operazione di misurazione. Quando misuro una cosa, la misuro con dei parametri: che siano voti, che siano giudizi sono sempre su una scala a intervalli regolari. Perché devo frantumare intervalli regolari? Attraverso cosa si fa la misurazione? Attraverso un determinato strumento di verifica.
“Domani ho due verifiche!” dicono i ragazzi. Allora la verifica è un momento di misurazione, sì, perché per essere vero e dare riscontri interessanti deve essere preceduto da una fase di valutazione che riguarda le prove che utilizzo.
Quale prova utilizzo per questa verifica? A quale scopo? Con quali strumento? Perché non è uguale se uso un questionario a risposta multipla piuttosto che a risposta aperta…..A questa prima fase di valutazione ne segue un’altra: come collocare (questo è il passaggio delicato) i risultati della verifica in un giudizio complessivo. Perché la valutazione, comunque si chiami – cominciamo a intenderci su valutazione globale – non è data dalla somma delle verifiche, ma è data da qualcosa in più. La somma delle parti è sempre meno dell’insieme che poi va a costituire. Ecco perché, quando con la pubblicazione del decreto legge molti dirigenti mi telefonarono chiedendomi: “Voti sì o no? Siamo contro o no?”, io, forse in modo superficiale, ho detto: “A me non fa né caldo né freddo, perché. O è chiaro quale è il criterio che mi muove nella valutazione o, che io usi una scala piuttosto che un’altra, è assolutamente indifferente.
Questo i genitori non l’hanno capito bene, i genitori, l’opinione pubblica, i mass-media, la televisione…
La questione è: la scuola si è mai interrogata realmente su quali sono i passaggi necessari, conditio sine qua non, perché avvenga una vera, autentica valutazione? Pensate alla scuola media: quante schede ha cambiato! Un’infinità. Il criterio con cui si muovevano insegnanti e dirigenti – la scuola – era sempre lo stesso. E’ come se uno avesse dentro di sé l’immagine di scuola che ha vissuto: “Non posso dare 10, è troppo!” Ma allora da che punto partiamo?
In realtà la valutazione è uno dei compiti più delicati che la scuola ha nei confronti della propria utenza perché, attraverso la valutazione, possa diventare orientativa, e parlo di orientamento a partire dalla scuola dell’infanzia, non quando in III° media si comincia a fare il discorso su cosa farai da grande e cosa sono le scuole… Ad esempio a Milano c’è in voga il test dell’orientamento perché l’Università Cattolica ha il dipartimento dell’orientamento dove fanno i test…..in realtà è valutando che si orienta il ragazzo a conoscere se stesso, sempre di più, le proprie capacità, le proprie lacune, i propri limiti, perché no? Non bisogna avere paura di valutare negativamente, non in senso punitivo, è il modo con cui si propone, ma a ciascuno di noi, come adulto piace che la persona con cui si parla ci dica francamente come vanno le cose. A volte si rompono perfino le amicizie in questo modo ma perché siamo irruenti. Se lo dicessimo con eleganza: “Guarda, secondo me…” questo è il vero rispetto dell’altro perché ci aiuta a migliorare il nostro modo di fare, sia professionale che umano. Così è per i ragazzi. Bisogna valutare sempre!
Allora la valutazione non è il momento in cui io do il voto ma è il modo con cui accompagno il bambino, il ragazzo poi nelle superiori nel suo cammino di costruzione, di postura, di apprendimento (questo è il compito della scuola) e di costruzione della propria identità.
Se un bambino, come spesso accade oggigiorno, a casa non è mai corretto (spesso succede con i genitori che hanno sensi di colpa perché non stanno abbastanza con i figli, allora alla sera tutto è concesso), non avrà mai il senso del proprio limite.
Come fa a crescere, come fa a costruirsi la propria persona, come fa ad affrontare la fatica dello studio e dire:”Io riesco meglio in questo, riesco meglio in quest’altro….? Il lavoro del Portaolio, dell’autovalutazione doveva essere inteso in questo senso. Allora non facciamoci un problema del giudizio o del voto. Visto che dobbiamo attrezzarci per i voti (se la legge non viene cancellata all’ultimo momento), speriamo che l’Italia allinei a una tendenza europea che è quella di lavorare su una scala di 5 interventi di cui uno solo insufficiente e altri 4 positivi, in modo graduato. Tanto per intenderci: 5 è insufficiente, 6,7,8,9…perché non il 10? Non so come usciranno i decreti applicativi, dico solo che in Europa tutti gli stati usano la scala di 5. Se in Italia decideranno di usarla dal 4 non importa, il problema è che sia uguale a livello nazionale. In questo caso l’autonomia della scuola non può essere invocata perché un ragazzino che è valutato in un modo a Genova e poi va a Milano deve avere lo stesso parametro di valutazione.
Non sono per una pedagogia di stato ma in questo caso è necessaria una condivisione di criterio, qualunque esso sia.
Ripeto: in tutti gli stati europei questa tendenza è in voga già da tempo perché i giudizi in molti stati non ci sono più da tempo. Quale è però la questione? Innanzitutto, perché abbia senso una valutazione attraverso i voti, occorre, per fortuna, almeno per la scuola primaria, è stato mantenuto il giudizio finale accanto al voto. Attenzione: accanto al voto è linguisticamente pasticciato, perché non si può pensare che io metto 5 e poi il giudizio di fianco, non ha senso. M un giudizio globale è importante perché colloca all’interno di un contesto preciso quella valutazione che io ho dato, quel 6 che in pagella ha il ragazzo su tutte le discipline dovrà essere precisato nel giudizio perché io capisca che tutto quel che ha potuto fare, raggiungere con tutti gli sforzi, la verifica deve essere contestualizzata.
Altrimenti l’unica cosa a cui bisogna stare attenti è che i giudizi non siano, a volte, sbrodolate che si scrivono: si è impegnato …..ma perché in un giudizio globale non si mette “da qui a maggio tu devi impegnarti su questo punto”? E’ orientativo, dà un compito all’alunno e il genitore capisce che vale quella cosa lì, perché altrimenti il giudizio globale, in fondo in fondo, come facciamo a differenziarlo così tanto? Uno si è impegnato, uno si è impegnato molto…..diamo un’indicazione di lavoro: e un giudizio che è globale e fa capire perché un ragazzo magari ha tutti 8 nelle discipline in cui non si deve studiare e in quelle discipline in cui si deve studiare ha 5. Ci sarà un motivo!
Allora quali sono le necessità perché la valutazione con i voti numerici diventi un vero elemento formativo della scuola, perché i voti siano degli indicatori leggibili? Io ho coniato questa frase che vi sembrerà poco carina ma credo che occorra veramente costruire una carta di identità delle discipline.
Essere sufficiente o eccellente in italiano vuol dire 1,2,3,4,5, in matematica vuol dire questo…, in storia…., che non sono – attenzione! – i saperi essenziali di cui si parlava un tempo (quella era la carta delle discipline ma non applicate alla scuola), questo deve essere a livello di apprendimento: quali sono gli obiettivi, le conoscenze, le abilità che il ragazzino deve raggiungere per…..
Ma se lo Stato non si deciderà a fare questo, a brevissimo termine, come si fa? Almeno sulle discipline fondative si può provare, una volta che il Collegio Docenti ha deciso, magari in modo provvisorio, un certo tipo di indicatori, graduati, almeno per quella scuola.
Provare a strutturare dei livelli di conoscenze e di abilità: da questo punto di vista le Indicazioni, sia quelle di morattiana memoria sia quelle di fioriniana memoria, non hanno ottemperato al compito perché in realtà sono un repertorio non graduato. Se vi ricordate bene, in quelle della Moratti si diceva, implicitamente, sono un repertorio a cui attingere e che l’insegnate dovrà mettere in ordine di sviluppo psicologico del bambino.
Questa operazione purtroppo è stata data come obbligo alle scuole, che si sono trovate senza sostegno e sono andate avanti cercando di fare il meglio possibile, secondo le proprie capacità.
Dobbiamo essere realisti: una legge non cambia la modalità di insegnamento. Quello che manca in Italia (e su questo punto non c’è nessuno che va a fondo, qualunque sia l’appartenenza politica), mancano degli standard nazionali che dicano: “Signori, nella scuola primaria si deve arrivare a sapere 1, 2, 3, 4…., nella scuola media 1, 2, 3, 4…
Parliamo di conoscenze e abilità. Qualche voce si leva: “Mancano gli standard nazionali!” ma non succede niente.
L’abitudine di strutturare prove serie che possano essere fatte girare (non tutto va inventato ma va utilizzato quello che sembra più efficace per il proprio lavoro).
In America ci sono prove oggettive di ogni sorta, ma adesso l’America sta facendo un passo indietro perché, a furia di lavorare sui test (che sono asettici e il bambino non c’è più), il problema della valutazione diventa verifica e non più valutazione: cosa è successo? Tutti gli insegnanti si sono messi a insegnare in funzione dei test, quello che serve….
Prova ne sia il tentativo fatto lo scorso anno a giugno, in III° media, con i test dell’Invalsi per cui molti docenti hanno detto: “L’anno prossimo facciamo quest’altra cosa!”, perché i ragazzi non erano preparati su certi aspetti che richiedeva il test. Questo – ripeto – nasce dal fatto che in Italia non ci sono standard di riferimento per cui in una scuola si fa imparare a memoria tutta epica, in un’altra non si fa niente di epica piuttosto che di grammatica….
D’altra parte, capire quale è la valenza formativa di una disciplina, per cui io devo insegnare questa cosa al ragazzo perché cresca nella conoscenza e nella persona, nella propria ristrutturazione personale.