Di.S.A.L.- Dirigenti Scuole Autonome e Libere - Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie – Ente qualificato dal Miur alla formazione
Proposte per la scrittura dei decreti applicativi dell’art. 5 della legge 53/2003 in materia di formazione iniziale ed in servizio di docenti e dirigenti - Predisposto per la seduta del Forum delle Associazioni professionali dei docenti e dirigenti della scuola del 13 luglio 2004
(Chiediamo a soci ed amici di intervenire con suggerimenti e miglioramenti da inviarsi a segreteria@disal.it)
1. Quale docente e dirigente
La nuova formazione iniziale di docenti e dirigenti dovrà avere un percorso di studio congruente con il profilo culturale e professionale necessario oggi per l’insegnante e per la direzione educativa, culturale ed organizzativa della scuola.
a- Ne primo caso lo specifico di questa formazione è di formare al “mestiere dell’ insegnare”, superando il dualismo tra docente disciplinarista e docente didatticista per giungere ad una “immagine” di insegnante come soggetto che sa che cosa insegnare, ma contemporaneamente perché e come insegnarlo. A tema della formazione deve esserci la piena padronanza dei presupposti teorici e culturali delle soluzioni metodologiche, didattiche ed organizzative vigenti nel mondo scolastico, in una visione di autonomia sostanziale e di solidarismo reale dell’esercizio della professione, superando la divaricazione tra ambito della ricerca culturale e ambito della didattica. C’è anche da rifiutare la pretesa di una competenza disciplinare esaustiva prima di entrare nella professione, dovendosi attuare anche per i docenti il lifelong learning.
b- Nel secondo sarà quello di formare al “mestiere del dirigere”, che scaturisce dalla esperienza necessaria della docenza, della quale figurerà come elemento terminale di una carriera che appartiene all’unica finalità di istruzione e formazione della scuola. Per questo occorre contrastare la tendenza (già in atto) a ridurre la direzione di istituto ad una funzione unicamente amministrativa o manageriale, che non solo snaturerebbe totalmente la professione, ma alla lunga renderebbe invivibile la comunità scolastica; con la conseguenza di dover poi istituire comunque un’altra figura di coordinamento didattico e col conseguente problema di rapportarla a tutta l’attività organizzativa e gestionale della scuola. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (D.Lgs 59/99, oggi articolo 25 del D.Lgs 165 del 2001) in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico sta diventando per profilo e funzioni più vicino alla carriera burocratico amministrativa che non a quella di tipo educativo, culturale e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi spesso prive di una vera e propria direzione istituzionale, un vuoto che non può essere riempito né dalle “funzioni obiettivo” (elettive), né tanto meno dai collaboratori – compreso il vice – scelti dal dirigente. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati. Occorre quindi che il disegno di riforma si armonizzi anche e si completi con la delineazione di una direzione delle scuole che non sia in contrasto con la natura della funzione scolastica e che costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera docente, non una fuoruscita o fuga dal ruolo e dalla professione.
c- Non possiamo però dimenticare infine che una ridefinizione delle professioni formative e direttive della scuola necessitano di un inserimento di queste in un organico quadro di norme sulle scuole autonome, attualmente ancora fortemente incompleto. Non solo si tratta del problema degli organi di governo rinnovati, dovendo decidere “di chi è la scuola” e “chi governa che cosa”, ma (contrariamente ai blocchi stabiliti dall’art. 21 della legge 59) avviare un progressivo ripensamento della modalità di reclutamento di docenti e dirigenti, per affidarli in via progressiva ai futuri organi di governo delle scuole autonome, come d’altra parte avviene, ad esempio, per ospedali e Asl.
2. Per figure nuove, nuove istituzioni
a- Decisivo per riuscita della nuova formazione iniziale (ed in servizio) l’istituzione di “luoghi terzi” (alla scuola e all’Università), “enti a carattere universitario”, con autonomia giuridica e finanziaria (sul modello degli IUFM francesi, ad esempio), governati da organi a rappresentanza compartecipata (università, scuole autonome, enti locali, associazioni professionali), progettati e guidati da competenze diverse (docenti di scuola, docenti universitari, formatori, rappresentanti delle associazioni professionali, degli EELL). Luoghi quindi deputati alla ricerca educativa e alla formazione iniziale e in servizio del personale di scuola, formazione professionale, enti locali. Il territorio di tali “luoghi” dovrebbe essere Regionale con possibilità (nelle regioni più affollate) di sedi decentrate provinciali per la scuola dell’infanzia, il livello primario e i corsi più affollati del secondario. D’altra parte le scuole di specializzazione per l'insegnamento attuali si sono rivelate come l'attuazione rovinosa di un principio giusto, ripetendo insegnamenti disciplinari già seguiti, giustapponendovi spesso un vario didatticismo e riducendo il tirocinio ad un episodio passeggero, per il quale succede che molte università non valutino la normale attività di insegnamento assunta dallo specializzando.
b- Decisivo per la riuscita efficace di queste “comunità accademiche di formazione” (valorizzando aspetti interessanti del modello scozzese) è il reale coinvolgimento delle scuole autonome e delle associazioni professionali di docenti e dirigenti, come agenti di qualità e responsabilità professionalità: 1- nella formazione iniziale e nel reclutamento, con il riconoscimento di funzioni specifiche nell’ambito delle convenzioni tra le Università e le Istituzioni Scolastiche; 2- nella formazione in servizio e nella ricerca didattica che non può assolutamente essere monopolio esclusivo dell’università pena il progressivo astrarsi dalla realtà viva del saper insegnare o saper dirigere; 3- nella formazione a figure di carriera, ivi compresa quella della dirigenza scolastica, che valorizzino le diverse funzioni nell’ambito della docenza e ridefiniscano i profili professionali necessari a sostenere le nuove scuole dell’autonomia. D’altra parte già la Direttiva 143 del 1-10-2001 (art.3 comma 2) riconosce esplicitamente che la formazione iniziale dei docenti deve sviluppare “collaborazioni con istituzioni universitarie e associazioni disciplinari e professionali di docenti, al fine di promuovere percorsi formativi integrati che utilizzino le più moderne tecnologie e modelli sperimentali di apprendimento in rete.” Il ruolo ufficiale alle Associazioni professionali e disciplinari stimolerebbe appieno il valore euristico sul piano culturale e professionalizzante sul piano didattico del “sapere pratico”.
3. Durata e organizzazione dei corsi
a- Sul piano della durata, mantenendo l’ipotesi del biennio solo in caso di una laurea di indirizzo triennale, non si può non rivalutare l’ipotesi di percorsi differenziati per i diversi ambiti della docenza: infanzia e primario; secondario; qualifiche professionali; educandati. L’ipotesi del biennio potrà rimanere solo se il secondo anno verrà prevalentemente dedicato (con almeno 6 ore settimanali) al primo dei due anni di formazione-lavoro previsti dall’art. 5. Se non si riaffronta il problema della diversificazione della durata, l’attuale progressivo allontanamento dalla formazione verso l’insegnamento nel ciclo dell’infanzia e nella primaria sarà destinato ad aumentare.
b- Restando nell’ipotesi del percorso biennale, alle condizioni dette, nel curricolo formativo il primo anno potrebbe essere dedicato soprattutto agli aspetti metodologici e didattici dell’insegnamento, per il quale i contenuti disciplinari sarebbero studiati solo per gli aspetti del “come” insegnarli. Questo primo anno si potrebbe concludere con un esame di accesso al secondo, durante il quale invece dovrebbe prevale l’attività di formazione-lavoro a scuola (per non meno di 6 ore settimanali), accompagnata dallo studio degli aspetti pedagogici, psicologici e relazionali dell’insegnamento, oltre che da laboratori di rivisitazione critica e guidata dell’esperienza di insegnamento e da corsi sulle nuove tecnologie. La scuola sede di formazione-lavoro, sotto la guida di docenti tutor “anziani” e del dirigente scolastico, dovrebbe avere un ruolo essenziale per la valutazione fatta alla fine del corso. Il biennio potrebbe concludersi appunto con un esame costituito da una valutazione plurima, dove concorrono, unitamente ai formatori dell’istituto di specializzazione, anche i rapporti del docente tutor e del preside. I pareri potrebbero costituire un dossier valido ai fini dell’esame finale con valore abilitante.
c- Sempre presso l’istituto universitari di formazione della docenza e dirigenza scolastica potrebbero trovare collocazione corsi per altre figure professionali della docenza (documentarista, orientatore, insegnamenti speciali) e quindi della dirigenza, di cui si accenna più oltre nella “formazione in servizio”.
d- Resta aperto e da definire in separata sede (come d’altronde prevede la stessa legge 53/03) il problema della revisione delle classi di abilitazione e della loro relazione con gli insegnamenti, come sviluppato più avanti.
4. Attività di insegnamento in tirocinio
a- Nell’ambito del convegno “Università’ e insegnanti” svoltosi a Bologna nei giorni 8 e 9 novembre il Ministro Berlinguer ha affermato : “...Non ero entusiasta della distinzione tra tirocinio e insegnamento, ..., abbiamo bisogno di un più forte intreccio. ... La scuola di specializzazione ha bisogno di una forte integrazione dell’offerta teorica didattica delle discipline con chi ha operato sul campo per anni e bene...”. Se già fin dall’inizio c’era questa riserva, allora si comprende bene perchè attualmente l’esperienza di tirocinio per i giovani (al di là dell’entusiasmo che molti vi mettono) sia fortemente riduttiva rispetto alle attese ed alle esigenze reali di una formazione iniziale. Accade inoltre, sempre più spesso, che l’università non accetti di far valere come tirocinio l’insegnamento che uno fa nella scuola dove magari insegna per un anno intero. Il tirocinio attuale quindi non è una prima effettiva prova di insegnamento, sotto la guida di un docente “anziano” della scuola. Invece nella formazione specialistica “deve aver luogo una riflessione teorica e critica sul “sapere pratico dell’insegnante” inteso come “insieme di competenze, di conoscenze e di abilità che rendono possibile la costruzione degli ambienti di apprendimento. E’ il patrimonio di capacità delle scuole stesse, il capitale che consente agli insegnanti di essere protagonisti dell’azione educativa” (M.G. Dutto).
b- L’attuale docente tutor o supervisore è una figura che ha scelto tendenzialmente di uscire dalla scuola, mentre il tutorato dell’attività di formazione-lavoro non può che essere immerso nella vita della scuola, del “mestiere dell’insegnare”, senza nulla togliere eventualmente ad un coordinamento o rapporto progettuale con l’istituto di formazione. Occorre quindi riconoscere la centralità del momento di tirocinio “in situazione”, guidato e coprogettato tra università e scuola, come momento complessivo e coordinato di progettualità, osservazione, intervento e riflessione e valutazione finale. Si potrà così realizzare l’organizzazione di un efficace percorso di formazione-lavoro, integrato e caratterizzato dalla prevalenza del rapporto pratica-teoria rispetto all’acquisizione delle competenze teoriche educativo-didattiche. La formazione-lavoro durante la specializzazione, con un attività a scuola di non meno di 6 ore in classe può essere “un momento fondamentale, luogo dell’azione e della verifica , luogo dove saperi teorici e pratici si fondono insieme alle strategie per diventare esperienza, osservazione, azione, ricerca e riflessione in itinere su ciò che si è osservato e fatto”. (dal documento della Siss Parma)
5. Accessi e titoli finali
a- Rispetto al fabbisogno di docenti per le scuole statali e paritarie ci sembra improduttivo e contrario ad un buon principio di formazione-valutazione il permanere del rigido accesso numero cattedre vacanti=numero accessi autorizzati. Il problema dell’accesso agli istituti di formazione si lega poi strettamente con l’immissione in ruolo che potrà trovare soluzione sia di qualità professionale verificata, sia di adeguata risposta alla nuova condizione di autonomia degli istituti scolastici, solo attraverso un reclutamento attuato dalle scuole autonome medesime (singole o consorziate sul territorio, a secondo delle dimensioni), così come avviene da tempo nella sanità. L’abilitazione ricevuta dal positivo superamento dell’esame finale dell’istituto da titolo per l’accesso ai concorsi di reclutamento che, sulla base delle disponibilità di organico stabilite dalle Regioni, le singole (o consorziate) scuole autonome indicono. La prova, prima della conferma di contratto a tempo indeterminato, avviene con un anno di contratto di formazione-lavoro.
b- La stessa legge 53/03 pone la necessità (a quanto pare già avviata in sede di trattativa Miur-sindacati) di revisione delle abilitazioni e delle classi di concorso, perché è apparso evidente che non si tratta solo di ammodernamento culturale e didattico ma soprattutto d’esigenza di uscire da un sistema che ingabbia e irrigidisce ogni possibilità di esercizio della autonomia didattica riconosciuta alle scuole. Occorrerà il coraggio di uscire prima o poi, come da tempo è stato fatto in altre nazioni progredite (Germania, Inghilterra, Olanda, Danimarca, USA ecc.) e negli ultimi anni in nazioni della nuova Europa uscite da decenni di rigido centralismo (Ungheria, Romania, Polonia, ecc.), dalla gabbia assurda delle classi di concorso con tutti quei vincoli che impediscono, ad esempio, a un docente di lettere competente e preparato di insegnare geografia all’istituto tecnico. Il superamento di questi antiquati meccanismie e occorre puntare solo sul titolo di studio. Per quale ragione un laureato in lettere che ha studiato geografia non la può insegnare alle superiori: oggi è così !
6. La formazione in servizio
Si tratta qui di delineare un sistema con diverse finalità: la formazione di figure professionali corrispondenti a livelli di carriera ai quali accedono i docenti che lo desiderano; la formazione in servizio offerta a tutti i docenti o dirigenti in collaborazione ma non in alternativa ad altri enti pubblici o privati qualificati; la stessa formazione alla dirigenza.
a- Il punto di partenza è l’introduzione di diverse figure della docenza, dove sembra anche prefigurata una assimilabile alla dirigenza. Il decreto deve sviluppare e definire queste figure intese come vere a proprie articolazioni della docenza, come avviene in Francia, Germania, Inghilterra, ecc., ivi compresa la vicedirigenza e la dirigenza come funzione terminale. A queste si deve poter accedere certo con una formazione liberamente scelta da coloro che intendono perseguire questo percorso, ma a seguito di questa il passaggio deve avvenire con concorsi indetti dalle scuole autonome (singole o consorziate) sulla base di un organico definito. Questi concorsi terranno conto non solo della formazione ma anche della carriera e dei superamenti positivi delle valutazioni periodiche che primo a poi il sistema dovrà introdurre per la docenza, come per tutte le figure professionali della scuola.
b- Alcune di queste figure potrebbero però coincidere anche con una funzione accessibile già all’inizio della carriera: è il caso assimilabile al “docente documentalista” sul modello francese che potrebbe diventare, nelle scuole secondarie, anche nella scuola italiana un utile volano ad una scuola intesa anche come ricerca. Per le altre pensiamo a funzioni non assimilabili alle attuali “funzioni obiettivo”, ma a livelli di carriera dove, a fianco di un parziale insegnamento, siano possibili affidamenti di responsabilità di supporto curricolare ed extracurricolare. Anche alle figure della vicedirigenza e della dirigenza dovrebbe essere tuttavia possibile (o per lo meno non impedito ed a libera scelta del singolo) mantenere limitate attività di insegnamento, come avviene in Germania.
c- Per la formazione in servizio rivolta a tutti riteniamo di debba puntare su di un ruolo policentrico, dove possano essere attori l’Università, i Centri di ricerca pubblici o privati e le Associazioni professionali. Il tutto dovrebbe essere reso possibile con l’istituzione di un “bonus” che il docente (o il dirigente) possa spendere dove ritiene più utile, al quale non sia collegato nessun beneficio giuridico né economico, per evitare motivazioni estrinseche. La verifica della validità della formazione frequentata può avvenire solo nella ricaduta a scuola, laddove occorre attivare il sistema di valutazione accennato sopra.
7. La formazione dei dirigenti scolastici
Agli istituti di formazione universitaria sopra descritti potrebbe essere affidata anche la formazione dei dirigenti, in tal caso realizzando opportune sinergie interregionali finalizzate a corsi di alta specializzazione educativa, culturale, gestionale ed organizzativa.
a- La direzione educativa ed organizzativa di qualsiasi tipo di istituto, statale o paritario che sia, deve essere di elevato livello, in ragione dell’importanza dei compiti affidati alla scuola. Una “direzione di istituto” deve idealmente contemperare due funzioni chiave: da un lato quella di guida e coordinamento del lavoro formativo-didattico e dall’altro quella di capo dell’azione organizzativa, amministrativa e della valorizzazione e sviluppo delle risorse umane. Il compito della gestione (o governo) della scuola invece deve essere chiaramente affidato ad un Consiglio di Amministrazione dell’istituzione autonoma. Per non cadere in percorsi astratti dalla nostra storia nazionale, o comunque inefficaci, occorre tener presente che l’organizzazione del lavoro in ambito educativo non è un problema soltanto tecnico-amministrtaivo o manageriale, ma “coinvolge convinzioni professionali e valori condivisi”, necessità di padronanza e condivisione di elementi culturali ed educativi tipici del tipo di scuola diretta. Questo esige che la figura da formare debba necessariamente provenire dall’esperienza della docenza, debba in qualche modo in essa restare radicata, debba poter contare su potestà decisionali effettive, nell’ambito del mandato affidatogli dall’organi di governo scolastico che lo assume con contratto ad obiettivi ed a termine e nel rispetto delle liberta fondamentali.
b- Sulla base del profilo della scuola espresso dal mandato del proprio organo di governo, i “direttori di istituto” dovrebbero elaborare strategia di sviluppo, formulare chiare richieste e porre obiettivi da raggiungere alle diverse componenti del mondo scolastico ed allo stesso tempo supportare e creare le condizioni affinché nell’intera comunità scolastica ognuno possa esprimere la propria parte per migliorare la qualità della scuola intesa come effettiva esperienza educativa e culturale in atto. I direttori di istituto debbono garantire soprattutto agli insegnanti quella sufficiente autonomia professionale necessaria affinché ognuno possa dare alla comunità scolastica tutto il loro positivo contributo educativo e culturale di cui è portatore, allo scopo di soddisfare le reali aspettative di giovani e famiglie. Per questo lavoro i direttori di istituto debbono favorire tutte le condizioni necessarie a promuovere lo crescita professionale degli insegnanti. Per questo, alla formazione del direttore di istituto, servono capacità di combinare competenze indirettamente educative, preparazione culturale, competenze di valorizzazione delle risorse umane, di creazione di lavoro d’equipe, di organizzazione amministrativa, così come l’uso delle tecnologie informatiche al servizio di tutto questo. La presenza di una figura di elevata competenza amministrativa (quindi con laurea) con ampi spazi di delega, ma comunque (anche per il budget) all’interno delle strategie di direzione di istituto, permetterà al direttore di istituto un più equilibrato impegno professionale sul compito delineato.
c I direttori di istituto dovrebbero essere selezionati dagli organi di governo delle singole scuole autonome (singole o consorziate, comunque da creare) dai quali non possono essere stranei le autorità delle comunità locali di appartenenza. Essendo responsabili, limitatamente agli obiettivi ed alle risorse assegnate, per la performance della scuola nei confronti degli organi di governo, dopo la formazione iniziale e con l’ausilio di una formazione in servizio, dovrebbero essere valutati ad intervalli regolari, come le altre figure professionali della scuola.
d- Con la descrizione della figura di direzione educativa ed organizzativa sopra proposta, abbiamo anche voluto delineare le capacità e le competenze necessarie al suo esercizio e quindi necessarie ad un percorso formativo iniziale adeguato, che dovrebbe svolgersi (presupponendo comunque attività di vicedirigenza) per un anno presso gli istituti universitari di formazione di cui sopra, con la collaborazione attiva anche in questo caso delle scuole autonome e delle associazioni professionali della dirigenza.
(Il documento è debitore ai contributi elaborati da Andrea Caspani, Silvio Restelli, Lucia Micheletto, Marco Zelioli, Elisabetta Pellegatta, Roberto Pellegatta)
Riferimenti essenziali utilizzati: Legge 341 del 1990 - DM 26/5/98 - D.M. 509/99 - C.C.N.L. del 1999 e il Contratto Integrativo - Legge n. 30 del 2000 - Le Direttive sulla formazione degli ultimi anni - L’art. 21 Legge n. 59 e DPR 275 - Ovviamente tutte la legge 53/03 - CCNL 2003 - Pronunce del Consiglio Nazionale P.I. sulla Legge Delega e sulla formazione iniziale ed in servizio - Rapporto Confindustria ottobre 2003 - Il documento Bertagna, in particolare il capitolo riguardante la formazione iniziale - Documenti delle Siss di Parma e di associazioni nazionali di supervisori.