Indice

INTRODUZIONE

Editoriale di Filomena Zamboli

PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA

Dirigere una scuola, comunità di educazione e cultura, conversazione con Luigi Negri

Dirigere comunità di persone. La regola di San Benedetto: una proposta di umanità di padre Mauro Giuseppe Lepori

Cosa significa dirigere una scuola? Con Massimo Recalcati

Ragione e parola. L’umanesimo sfondo integratore dell’agire scolastico di Stefano Versari

Liberi di educare nelle scuole del mondo di Teuta Buka

Confessioni di un preside, conversazione con Hans van Mourik Broekman

Sfide ed alleanze educative in Ontario, conversazione con Luciana Cardarelli

PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO

Scuola al via. Il rilancio. Intervista a Anna Maria Frigerio

Note a margine de “Il rischio educativo” di Alberto Raffaelli

Una rinnovata passione per l’uomo di Alberto Caccaro

Educare il cuore, dimensione dell’azione direttiva di Maria Rita Sala

PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO

Innovare le modalità di progettazione mobilitando l’intelligenza collettiva di Simona Favari

Pianificare le azioni del “Piano scuole 4.0”: verso modelli di apprendimento innovativi di Francesca Maganzi

Educazione ed innovazione scolastica. Canoni formativi per tempi complessi di Marco Ferrari

Editoriale

Il rischio di educare” rappresenta la domanda urgente che caratterizza il nostro tempo.
Perché dobbiamo educare? Perché educare significa correre un rischio? E quale?
Questo numero nasce con una particolare connotazione. Rappresenta il tentativo di offrire alla dirigenza scolastica del nostro Paese una riflessione sul compito del dirigere fuori dagli schemi asfittici dell’organizzazione e della pretesa formalista/amministrativa e, parimenti, di essere persone che dirigono comunità di persone.

Per far luce su questa prospettiva, compiutamente rappresentata da Luigi Giussani – di cui ricorre il centenario della nascita -, in particolare nel suo testo Il Rischio educativo, abbiamo attinto al tesoro di una serie di conversazioni e interviste, realizzate negli anni fino ai nostri giorni, in cui il confronto con autorevoli interlocutori ha avuto per oggetto la riflessione e il racconto di esperienze sul tema.

È quanto afferma Luigi Negri, Arcivescovo cattolico, teologo e accademico italiano, nella conversazione riportata, sugli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento, nonché sulle funzioni e i ruoli delle componenti adulte della scuola nella costruzione del processo educativo, in particolare sulla figura di chi nella scuola è posto ad esercitare una funzione direttiva.

Don Giussani ha già sottolineato molte volte, con gli approfondimenti de “Il rischio educativo”, che, in fondo, l’ipotesi culturale è l’esperienza vissuta dell’adulto. Educare vuol dire amare il vero destino delle persone. Educare vuol dire accompagnare le persone nella conversione della loro vita verso la pienezza. Educare vuol dire amare una persona non soltanto per quello che è, ma anche per quello che è chiamata a diventare.

E allora, cosa significa dirigere? Ecco la domanda posta a Mauro-Giuseppe Lepori, Abate generale dell’Ordine Cistercense, nel pezzo che riprende ampie parti del dialogo con l’autore. Risponde:

Tutta l’esperienza di vita che la Regola di san Benedetto descrive è di fatto un’esperienza ‘diretta’, cioè guidata. Guidata fondamentalmente dalla Regola. Ma la Regola non è un codice che funziona da solo. La Regola è un vademecum per chi è chiamato a dirigere il monastero e per ogni monaco che vuole seguire questo cammino. La comunità che la Regola descrive e ispira è una comunità guidata, guidata essenzialmente da un abate, e da altre figure di responsabili delegati che partecipano alla responsabilità dell’abate per meglio condurre la comunità. Una comunità, per essere veramente un luogo educativo alla vita, non può guidarsi da sé stessa, ha bisogno di una guida. La Regola è fissata; la vita della comunità invece, come quella di ogni organismo umano, varia continuamente. L’abate deve allora esercitare il carisma della ‘discrezione’, del discernimento, della moderazione.

Torna prepotente l’idea che l’istituzione scolastica diventa un dispositivo organizzativo che fa prevalere la cifra sul volto, le persone smettono di essere il fulcro per cui vale la pena di correre il rischio di educare.

Scrive Stefano Versari che occorre personalizzare, nel tempo in cui si è.

Ma qual è questo tempo? O meglio, qual è il tempo in cui da tempo si è?” Nel 1989 il fisico Victor Weisskopf: “La malattia della mancanza di senso è purtroppo penetrata in qualche misura anche nella scienza e nella tecnologia… Siamo testimoni di una eccessiva importanza data alla sicurezza materiale e all’assenza di rischio. Il rischio più grande però è quello di evitare tutti i rischi.”

Educare, ex adverso, vuol dire assumersi il rischio di una relazione che sia profondamente umana. Che fare per affrontare questo immane ed entusiasmante compito generativo che l’esistenza pone a ciascuno di noi?

Lo abbiamo chiesto, proprio in una serie di colloqui, a numerosi testimoni del nostro tempo, impegnati a dirigere scuole con una rinnovata passione per l’uomo e una coscienza di libertà che val la pena essere raccontata. Quasi tutte le interviste/testimonianze focalizzano, accendono il fuoco sulla libertà.

È la nostra umanità che ci spinge a educare, e la fonte del nostro desiderio di educare; e l’oggetto degli sforzi di un educatore non è solo l’umanità di sé stesso, ma soprattutto è la libertà e l’umanità dell’allievo.”

Ha dichiarato Hans van Mourik Broekman, Preside al Liverpool College,

l’idea, cioè, che l’educazione possa riguardare “TUTTO, non solo cose misurabili”.

Tutto, cioè tutta la realtà che esiste, non come proiezione sociologica, ma nella evidenza delle persone che abitano le nostre scuole. Perché il Rischio di educare val la pena, oggi? Perché introdurre alla realtà totale significa accettare una ipotesi positiva, l’ipotesi che ci sia una risposta reale, non fasulla, alle esigenze ultime che noi tutti abbiamo dentro.

E Luigi Giussani va alla radice di questa condizione drammatica, la prende sul serio. E se un Dirigente riconosce che l’istituzione scolastica di cui è responsabile può essere commovente e misteriosa, perché commoventi e misteriose sono le persone affidate a quella comunità, corre il rischio di interpellare tutti a questo compito. Ancora. Sempre.

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INTRODUZIONE

Editoriale di Filomena Zamboli

PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA

Dirigere una scuola, comunità di educazione e cultura, conversazione con Luigi Negri

Dirigere comunità di persone. La regola di San Benedetto: una proposta di umanità di padre Mauro Giuseppe Lepori

Cosa significa dirigere una scuola? Con Massimo Recalcati

Ragione e parola. L’umanesimo sfondo integratore dell’agire scolastico di Stefano Versari

Liberi di educare nelle scuole del mondo di Teuta Buka

Confessioni di un preside, conversazione con Hans van Mourik Broekman

Sfide ed alleanze educative in Ontario, conversazione con Luciana Cardarelli

PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO

Scuola al via. Il rilancio. Intervista a Anna Maria Frigerio

Note a margine de “Il rischio educativo” di Alberto Raffaelli

Una rinnovata passione per l’uomo di Alberto Caccaro

Educare il cuore, dimensione dell’azione direttiva di Maria Rita Sala

PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO

Innovare le modalità di progettazione mobilitando l’intelligenza collettiva di Simona Favari

Pianificare le azioni del “Piano scuole 4.0”: verso modelli di apprendimento innovativi di Francesca Maganzi

Educazione ed innovazione scolastica. Canoni formativi per tempi complessi di Marco Ferrari

Editoriale

Il rischio di educare” rappresenta la domanda urgente che caratterizza il nostro tempo.
Perché dobbiamo educare? Perché educare significa correre un rischio? E quale?
Questo numero nasce con una particolare connotazione. Rappresenta il tentativo di offrire alla dirigenza scolastica del nostro Paese una riflessione sul compito del dirigere fuori dagli schemi asfittici dell’organizzazione e della pretesa formalista/amministrativa e, parimenti, di essere persone che dirigono comunità di persone.

Per far luce su questa prospettiva, compiutamente rappresentata da Luigi Giussani – di cui ricorre il centenario della nascita -, in particolare nel suo testo Il Rischio educativo, abbiamo attinto al tesoro di una serie di conversazioni e interviste, realizzate negli anni fino ai nostri giorni, in cui il confronto con autorevoli interlocutori ha avuto per oggetto la riflessione e il racconto di esperienze sul tema.

È quanto afferma Luigi Negri, Arcivescovo cattolico, teologo e accademico italiano, nella conversazione riportata, sugli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento, nonché sulle funzioni e i ruoli delle componenti adulte della scuola nella costruzione del processo educativo, in particolare sulla figura di chi nella scuola è posto ad esercitare una funzione direttiva.

Don Giussani ha già sottolineato molte volte, con gli approfondimenti de “Il rischio educativo”, che, in fondo, l’ipotesi culturale è l’esperienza vissuta dell’adulto. Educare vuol dire amare il vero destino delle persone. Educare vuol dire accompagnare le persone nella conversione della loro vita verso la pienezza. Educare vuol dire amare una persona non soltanto per quello che è, ma anche per quello che è chiamata a diventare.

E allora, cosa significa dirigere? Ecco la domanda posta a Mauro-Giuseppe Lepori, Abate generale dell’Ordine Cistercense, nel pezzo che riprende ampie parti del dialogo con l’autore. Risponde:

Tutta l’esperienza di vita che la Regola di san Benedetto descrive è di fatto un’esperienza ‘diretta’, cioè guidata. Guidata fondamentalmente dalla Regola. Ma la Regola non è un codice che funziona da solo. La Regola è un vademecum per chi è chiamato a dirigere il monastero e per ogni monaco che vuole seguire questo cammino. La comunità che la Regola descrive e ispira è una comunità guidata, guidata essenzialmente da un abate, e da altre figure di responsabili delegati che partecipano alla responsabilità dell’abate per meglio condurre la comunità. Una comunità, per essere veramente un luogo educativo alla vita, non può guidarsi da sé stessa, ha bisogno di una guida. La Regola è fissata; la vita della comunità invece, come quella di ogni organismo umano, varia continuamente. L’abate deve allora esercitare il carisma della ‘discrezione’, del discernimento, della moderazione.

Torna prepotente l’idea che l’istituzione scolastica diventa un dispositivo organizzativo che fa prevalere la cifra sul volto, le persone smettono di essere il fulcro per cui vale la pena di correre il rischio di educare.

Scrive Stefano Versari che occorre personalizzare, nel tempo in cui si è.

Ma qual è questo tempo? O meglio, qual è il tempo in cui da tempo si è?” Nel 1989 il fisico Victor Weisskopf: “La malattia della mancanza di senso è purtroppo penetrata in qualche misura anche nella scienza e nella tecnologia… Siamo testimoni di una eccessiva importanza data alla sicurezza materiale e all’assenza di rischio. Il rischio più grande però è quello di evitare tutti i rischi.”

Educare, ex adverso, vuol dire assumersi il rischio di una relazione che sia profondamente umana. Che fare per affrontare questo immane ed entusiasmante compito generativo che l’esistenza pone a ciascuno di noi?

Lo abbiamo chiesto, proprio in una serie di colloqui, a numerosi testimoni del nostro tempo, impegnati a dirigere scuole con una rinnovata passione per l’uomo e una coscienza di libertà che val la pena essere raccontata. Quasi tutte le interviste/testimonianze focalizzano, accendono il fuoco sulla libertà.

È la nostra umanità che ci spinge a educare, e la fonte del nostro desiderio di educare; e l’oggetto degli sforzi di un educatore non è solo l’umanità di sé stesso, ma soprattutto è la libertà e l’umanità dell’allievo.”

Ha dichiarato Hans van Mourik Broekman, Preside al Liverpool College,

l’idea, cioè, che l’educazione possa riguardare “TUTTO, non solo cose misurabili”.

Tutto, cioè tutta la realtà che esiste, non come proiezione sociologica, ma nella evidenza delle persone che abitano le nostre scuole. Perché il Rischio di educare val la pena, oggi? Perché introdurre alla realtà totale significa accettare una ipotesi positiva, l’ipotesi che ci sia una risposta reale, non fasulla, alle esigenze ultime che noi tutti abbiamo dentro.

E Luigi Giussani va alla radice di questa condizione drammatica, la prende sul serio. E se un Dirigente riconosce che l’istituzione scolastica di cui è responsabile può essere commovente e misteriosa, perché commoventi e misteriose sono le persone affidate a quella comunità, corre il rischio di interpellare tutti a questo compito. Ancora. Sempre.