Fonte: Avvenire
Articolo di Cinzia Arena
Secondo Save the children sono circa 865mila, hanno tassi di abbandono e bocciatura più elevati. Ma a penalizzarli è soprattutto l’orientamento verso gli istituti tecnici e le classi di soli stranieri
La scuola è un percorso ad ostacoli per gli studenti con background migratorio. Quelli sprovvisti della cittadinanza, uno su otto nell’anno scolastico conclusosi a giugno (circa 865mila) hanno un percorso scolastico più accidentato, con una maggiore incidenza di ritardi scolastici, dispersione e abbandono che compromettono il loro futuro professionale. Le cause delle diseguaglianze sono molteplici: oltre alle condizioni socioeconomiche familiari ci sono fenomeni di penalizzazione nell’orientamento (solo il 35% degli studenti di prima generazione sceglie il liceo, percentuale che sale al 42,9% per quelli di seconda) e forme di segregazione scolastica tra cui il cosiddetto “white flight” la tendenza da parte delle famiglie italiane a ritirare i propri figli dalle scuole dove la percentuale di studenti stranieri è particolarmente alta. Una penalizzazione che parte dalla primaria e si accentua negli anni basti pensare che gli studenti senza cittadinanza iscritti all’università sono appena il 3,9% del totale degli iscritti. Si tratta del dato più baso tra i Paesi Ocse. Sono alcuni dei dati presentati nel rapporto “Chiamami col mio nome. Un’indagine sugli studenti con background migratorio nelle scuole italiane”, diffuso oggi da Save the Children (e realizzato in collaborazione con il Movimento italiani senza cittadinanza, Fondazione Bruno Kessler e Think Tank Tortuga) in vista della riapertura delle scuole e dopo un anno in cui la tematica della cittadinanza è tornata al centro del dibattito pubblico. Il rapporto prende in prestito il titolo del famoso film di Luca Guadagnino per raccontare com’è la vita sui banchi di chi, senza quel pezzo di carta che rappresenta pari opportunità rispetto ai coetanei italiani, cerca di affermare la propria identità e il diritto a sognare.
Al di là delle difficoltà la scuola viene percepita dagli studenti stranieri come uno strumento di realizzazione personale e sociale. “’Chiamare con il loro nome’ questi ragazzi e ragazze, come recita il titolo del dossier, significa valorizzarli nelle loro identità, contrastare la segregazione formativa e ogni forma di xenofobia e razzismo, dare libero corso alle loro capacità e aspirazioni”, ha sottolineato Raffaela Milano, direttrice ricerca di Save the Children.
I numeri: rispetto a 20 anni fa sono quadruplicati. Nell’anno scolastico 2002-2003 i ragazzi senza cittadinanza italiana erano poco meno del 3%, l’anno scorso il 12,2%. Secondo gli ultimi dati disponibili, più di 3 su 5 di loro (il 65,4%) sono nati nel nostro Paese. In termini assoluti, la Lombardia, con più di 231 mila alunni – un quarto del totale – è la regione che registra la maggiore presenza, seguita da Emilia-Romagna e Veneto.Dal punto di vista dell’incidenza percentuale sulla popolazione studentesca totale, la prima regione è l’Emilia-Romagna (18,4%), seguita da Lombardia (17,1%), Liguria (15,8%), Veneto (15,2%) e Toscana (15,1%), in coda – con meno del 4% di alunni senza cittadinanza italiana sul totale degli alunni – Molise, Puglia, Campania e Sardegna.
Dagli Invalsi alla scelta della scuola superiore: la mappa dei divari. Gli studenti con background migratorio ottengono punteggi più bassi alle prove Invalsi di italiano e matematica, ma più alti in inglese. Per quelli di prima generazione la dispersione implicita raggiunge il 22,5%, molto distante rispetto all’11,6% dei coetanei di origine italiana, il dato migliora notevolmente tra gli studenti di seconda generazione (10,4%). Tuttavia, tra gli studenti senza cittadinanza, più di un quarto non completa il percorso di istruzione secondaria di II grado. Elevati anche i tassi di ritardo scolastico: con un 26,4% contro il 7,9% dei loro coetanei di origine italiana. Tra quelli di prima generazione, più di 1 su 6 (17,8%) ha ripetuto l’anno scolastico una volta, cosa che si verifica per poco più di 1 su 10 (11,5%) tra gli alunni di seconda generazione e che interessa solo il 4,6% degli italiani.
L’analisi di Save the Children insomma evidenzia come avere la cittadinanza influisca sulle scelte nei percorsi scolastici: in particolare gli studenti di seconda generazione che sono cittadini italiani fanno scelte equiparabili ai ccoetanei.
Le voci dei ragazzi: amicizie e riconoscenza ai genitori, ma senza cittadinanza ci si sente stranieri. Per il dossier “Chiamami son il mio nome” è stato realizzato un approfondimento di tipo qualitativo in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler volto ad indagare le prospettive e le aspirazioni dei ragazzi con particolare attenzione ad alcuni territori del Nord (Brescia, Modena e Trento). Molti raccontano di essere stati “sconsigliati” dai professori ad intraprendere percorsi di studio liceali, di aver avuto difficoltà nello studio e di aver frequentato corsi di recupero tramite associazioni o insegnanti privati, con scarso sostegno da parte delle scuole. Le amicizie sono uno dei pilastri dell’inclusione, il diploma il traguardo da raggiungere per costruirsi un futuro ma soprattutto un riconoscimento dei sacrifici familiari. “E’ importante per rendere fieri i miei genitori” ammette Darid. Il riconoscimento della cittadinanza viene visto come una condizione necessaria per potersi sentire davvero parte della comunità e pensare a costruirsi una famiglia e una carriera. “Un pezzo di carta che ti aiuta che a sentirti più legato all’Italia” dice Daniel. “Se non l’avessi non lo so, mi sentirei completamente straniero” aggiunge Yasin.