Pubblicato il 7 Aprile 2025.

Fonte: Orizzonte scuola

Articolo di Vincenzo Brancatisano

L’obiettivo era quello di dimostrare che noi ci siamo e questo obiettivo lo abbiamo raggiunto con successo”. A nome di almeno ventiquattro Associazioni italiane, il rettore dell’Istituto Europeo paritarioLeopardi” di Milano, Roberto Pasolini, plaude alla ritrovata unità tra le associazioni che raggruppano le scuole paritarie, nel giorno che celebra il quarto di secolo dell’emanazione della Legge n. 62 del 2000. Con la legge 62 fu sancito, a inizio millennio e dopo mezzo secolo dalla Costituzione italiana, il principio secondo cui l’esercizio del diritto costituzionale all’istruzione può essere esercitato non solo dalla scuola statale ma dal sistema istruzione e formazione dentro cui c’è a pieno titolo la scuola paritaria. Un principio attorno al quale si è sviluppato uno storico dibattito. Da un lato chi ritiene che un cittadino debba potere esercitare – nei fatti – il diritto costituzionale allo studio nel sistema di istruzione nel quale c’è anche la scuola paritaria. Dall’altro lato chi segnala che non dovrebbero esserci oneri a carico dello Stato qualora un cittadino intendesse esercitare la libera scelta di indirizzare i propri figli verso la scuola non statale. Sullo sfondo i contributi che le paritarie chiedono allo Stato per poter garantire nei fatti la libertà di istruzione e che quest’anno sono stati 760 milioni di euro. Il vero pomo ideologico della discordia.

Ma tant’è. A 25 anni dalla legge sulla parità le associazioni si ritrovate a discutere di parità e di diritto all’istruzione, di libera scelta e di riconoscimenti economici all’Auditorium Testori di Milano alla presenza del Ministro del Mim, Giuseppe Valditara e di costituzionalisti e uomini politici e amministratori pubblici: Simona Tironi, Assessore Istruzione, Formazione, Lavoro di Regione Lombardia, Attilio Fontana, Presidente di Regione Lombardia, Giuseppe Como, Vicario Episcopale per la pastorale scolastica della Diocesi di Milano, Maurizio Lupi, Lorenzo Malagola, Simona Malpezzi, Anna Poggi, costituzionalista, Roberto Formigoni, già Presidente di Regione Lombardia, Claudia Di Pasquale, AGe – Associazione Genitori, Luca Iemmi, FISM – Federazione Italiana Scuole Materne, Virginia Kaladich, presidente di FIDAE – Federazione Istituti di Attività Educative, Umberto Palaia, AGeSC – Associazione Genitori Scuole Cattoliche, Suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche. Ha moderato il dibattito Giulio Massa, dell’ANINSEI – Associazione Nazionale Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione. Un dibattito che, secondo gli intervenuti, è stato un autentico toccasana

Pasolini dirige come detto l’Istituto Leopardi, una scuola paritaria di grande livello che comprende tutti i gradi di istruzione, dall’infanzia ai licei. Punta molto sulle lingue ma non ha voluto che la sua scuola si trasformasse in una scuola internazionale: “Amo dire che la mia è una scuola italiana e me ne vanto – ci aveva detto lui in una precedente intervista – Mi sono sempre rifiutato di fare un intervento robusto nella direzione di un cambiamento radicale nella scuola primaria come vuole la cultura di Cambridge. Ho sempre opposto un No, grazie! Tuttavia, se voglio bene ai miei ragazzi, devo dare loro gli strumenti indispensabili, e la padronanza dell’inglese, piaccia o non piaccia, è determinante. Se non sai l’inglese ormai non lavori, sei tagliato fuori da molti ambiti di lavoro, di studio, di ricerca, sei destinato a perdere molte opportunità. Ma lei mi spiega perché devo togliere ai miei ragazzi queste opportunità?”. Tornando all’evento, “abbiamo coinvolto quattrocento persone – si dice soddisfatto Pasolini, che è anche membro anche del Comitato Politico Scolastico – non possiamo che essere soddisfatti perché l’evento ha creato interesse. Il successo non è tanto nel riconoscimento di natura economica per la scuola paritaria, la quale esiste e affonda radici nella Costituzione ma piuttosto nell’aver visto la nostra presenza nel panorama scolastico italiano rafforzata dall’intervento del ministro Valditara attraverso una lezione di diritto costituzionale che ha consolidato quello che avevamo scritto nel nostro documento. Abbiamo ribadito che il diritto dei genitori ha la sua forza e che le famiglie che hanno meno mezzi economici debbano poter esercitare la loro libera scelta. Il messaggio è arrivato”. Il ministro nella sua conclusione “ha convalidato la fondatezza della richiesta approfondendo lui stesso gli articoli della Costituzione che sanciscono questi diritti. Ha prodotto due immediate azioni: la proposta di un buono scuola nazionale per aiutare le famiglie meno abbienti a poter esercitare la libera scelta educativa e l’avvio della procedura europea per l’abolizione dell’Imu che riduce benefici economici alle scuole”.

Rettore Giuseppe Pasolini, però la Costituzione già dal 1948 vuole che con i soldi pubblici venga finanziata l’istruzione pubblica. Le famiglie che scelgono la scuola paritaria non dovrebbero pagarsi da sé l’istruzione privata?

“Noi abbiamo voluto mettere in risalto l’importanza della legge n. 62 del 2000. Nel 1948 di scuola paritaria non si parlava ed è evidente che il precetto secondo cui l’unica agenzia educativa dovesse essere la scuola statale aveva il proprio fondamento. La legge 62 però ha poi fatto fare un cambiamento sostanziale al problema. Da marzo 2000 l’esercizio del diritto costituzionale può essere esercitato non solo dalla scuola statale ma dal sistema di istruzione e formazione dentro cui c’è a pieno titolo la scuola paritaria. Questo vuol dire che un cittadino può esercitare il diritto costituzionale allo studio nel sistema di istruzione nel quale c’è anche la scuola paritaria e pertanto un cittadino ha il pieno diritto di scelta. Ecco: questo è quello che noi abbiamo voluto mettere in risalto. La professoressa Anna Poggi ha nell’occasione ribadito la correttezza del principio dal punto di vista costituzionale e piaccia o non piaccia, occorre rassegnarsi: la scuola paritaria non solo c’è ma è anche riconosciuta”. Anna Poggi è professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. È stata Presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo. Con il Mulino ha recentemente pubblicato il volume ‘Per un diverso Stato sociale. La parabola del diritto all’istruzione’ (ndr)”.

Spesso, pensando alla scuola privata, la mente di molti va ai diplomifici. Le famiglie pagano e il diploma arriva.

“Su questo aspetto alcuni giorni orsono il ministro Valditara ha emanato una norma per contrastare il fenomeno dei diplomifici, norma che non può che far felici tutti. Il gruppo delle 24 associazioni pensa di andare avanti su due piani: un primo piano serve a mettere in risalto che cosa di buono fa la scuola paritaria, quali benefici porta agli studenti per far sapere all’opinione pubblica quanto la scuola paritaria fa per le famiglie e per la qualità degli apprendimenti dei propri figli. Il secondo piano punta agli aiuti economici”.

Dunque?

“Guardi, io sono uno di quelli che hanno sempre detto che se venisse meno il valore legale del titolo di studio, uno quel titolo non lo andrebbe più a comprare. E io sono favorevole poiché a quel punto non esisterebbero i diplomifici”.

Lei è favorevole a eliminare il valore legale al titolo di studio? E’ così?

“E già così in tanti Paesi. Un po’ dovunque, fuori dall’Italia, si dà meno valore ai test d’uscita, e molto valore ai test in entrata. E se lei ci pensa questo rappresenterebbe una spinta anche per gli studenti: sarebbero invogliati a studiare di più”.

È stato difficile mettere insieme le teste tra le varie vostre associazioni. Come mai?

“È difficile metter d’accordo tanti punti di vista. Da quand’è in vigore la legge sulla parità c’è la tendenza di cercare di risolvere i propri problemi in autonomia dimenticando che in politica il fronte unitario assume un peso diverso. Ci abbiamo messo tanto tempo a riunire tante teste ma alla fine ci siamo arrivati in quelle 24 erano comprese tutte le scuole laiche, e confessionali”.

Veniamo ai contributi statali, che rappresentano il punto cruciale della questione. Di quali cifre si parla?

“Ho fatto una ricerca e da questa ricerca si evince che nel 2005 i contributi sono stati 500 milioni. Nel 2008 era 535 milioni. Nel 2022 erano 512 milioni. Nel 2023 si è tornati a 500 milioni a causa di taglio lineare a tutti i Ministeri”.

Sì, però nel 2025, appena poche settimane orsono, il governo ha stanziato a favore delle paritarie circa 760 milioni di euro per “garantire a tutti gli studenti – recita un decreto –l’opportunità di una formazione di qualità”.

“Il fatto che siano diventati 760 milioni è giustificato dalla circostanza che 163 milioni e 400 mila euro sono destinati al sostegno agli studenti con disabilità e 90 milioni sono riservati alle scuole dell’infanzia: qui siamo nella fascia 0-6, legata all’inverno demografico, per permettere ai genitori di avere ancora un lavoro. Le associazioni auspicano anche una rivalutazione del contributo ordinario. Va ricordato che l’inflazione ha eroso quasi il 50 per cento del potere di acquisto”.

Secondo lei esiste un vero tema economico per le famiglie? Quanti genitori rinunciano a iscrivere i loro figli alla scuola paritaria unicamente a causa dell’onere finanziario richiesto?

“Guardi, avevo fatto assieme ad altri un’indagine e pure dei calcoli per capire anche quanto fosse estesa la popolazione interessata alla scuola paritaria. Lo stesso sociologo Renato Mannheimer aveva evidenziato che tra il 15 e il 20 per cento delle famiglie erano interessate alla scuola paritaria. Considerando che il tasso di iscrizione effettivo alle paritarie si aggira intorno al 10 per cento, è evidente come il fattore economico influenzi in modo determinante la scelta. In questo contesto, il principio di equità risulta non adeguatamente garantito”.

Lei ha sempre evitato l’internazionalizzazione della sua scuola. Perché?

“Istituire un liceo internazionale significa implementare nella singola scuola programmi internazionali e non programmi italiani. Io invece sono convinto che la cultura affondi le radici nella cultura italiana che tutti ci invidiano e tuttavia non possiamo al contempo non preparare adeguatamente nelle lingue i ragazzi, che non vivono più in un orticello. I ragazzi devono uscire dalla scuola con una padronanza di lingua per migliorare l’accesso nel mondo del lavoro e per andare all’estero. La cultura italiana è fondamentale. Le scuole internazionali che nel corso del tempo sono arrivate in Italia con i Fondi fanno anche buon risultato perché le famiglie sono attratte da queste scuole ma la retta di 15.000 euro è quasi il doppio del costo medio stabilito a livello ministeriale, che è di 8.000 euro, e tuttavia c’è un flusso consistente di iscrizioni perché c’è attrazione linguistica. Ma se uno va poi a verificare il contenuto dei programmi, beh, io dico con orgoglio che la scuola italiana è di una spanna avanti”.

L’apprendimento delle lingue straniere rappresenta da sempre un tallone d’Achille per le scuole statali. Qual è il vantaggio delle scuole paritarie da questo punto di vista?

“La scuola pubblica – che è un grande carrozzone, ci sono tante classi, ma esistono davvero molte realtà che sono di qualità – è fatta dai dirigenti scolastici e dai docenti. Il vantaggio della paritaria è semplice: se un cittadino trova una scuola statale che non funziona se la deve tenere, se la scuola paritaria non funziona deve chiudere: quindi, la scuola paritaria è obbligata a garantire la qualità. Comunque, non in tutte le scuole statali c’è un tallone d’Achille. In molte scuole è così ma dipende dal dirigente e dai docenti”.

Voi come fate?

“Io ho il potere dell’assunzione e posso garantire un corpo docente stabile. Se oggi come oggi ho vari docenti che rinunciano allo Stato e vengono qua vuol dire che la motivazione che abbiamo dato motivazione abbiamo e garantito la libertà di insegnamento e tante opportunità di formazione. Noi abbiamo un corpo docente motivato e stabile. Inoltre, godiamo di scelte didattiche innovative: per studiare le lingue non usiamo più i libri di testo ma, già a partire dalla scuola primaria usiamo i libri delle certificazioni. Questi libri hanno il vantaggio che tutta la didattica si è spostata su comprensione comunicazione. Questo non significa che facciamo meno grammatica, e quando nel 2017 sono venuti gli ispettori Cambridge ispettori per verificare se fossimo o meno pronti per diventare una c Cambridge School ho avuto l’accreditamento in un mese, frutto del fatto che abbiamo una didattica innovativa e per i nostri docenti è una gratificazione potere fare didattica di qualità”.

Vorrei insistere sul reclutamento dei docenti, che rappresenta a quanto pare un elemento dirimente. Come si traduce, all’atto pratico, il suo potere decisionale?

“Significa che se il docente che viene qui accetta le condizioni didattiche, lui o lei sono i benvenuti, se non le accetta se ne va. Purtroppo nelle scuola statali i dirigenti scolastici sono obbligati a prendersi chi c’è nella tal posizione in graduatoria e a tenerselo, chi c’è c’è. Faccio un esempio relativo al potenziamento: la legge 107 nel 2015, la Buona Scuola, aveva aperto verso l’autonomia. Si diceva: cominciamo con il potenziamento e diamo ai dirigenti scolastici l’assunzione diretta, come fanno nella scuola paritaria. Questo voleva dire che se una scuola avesse voluto attuare una curvatura linguistica o artistica o altro, avrebbe potuto assumere insegnanti preparati sulle lingue e sull’arte. Tutto questo è durato fino a primo cambio di governo, nella prima settimana del nuovo governo la prima cosa che si fece fu l’abolizione di questa novità. E’ chiaro a questo punto che i presidi hanno le mani ingessate. La scuola paritaria le mani ingessate non le ha: i miei insegnanti sanno che se arriva una novità, si cavalca la novità e se la cavalchi ti diverti ma se non la cavalchi l’onda ti travolgerà”.

Va bene, ma spesso dietro tante innovazioni si nasconde della fuffa, almeno secondo quanto sostengono tanti oppositori.

“Lei vada a parlare con i direttori delle aziende, la realtà è quella lì, i nostri studenti devono essere messi in grado di saper affrontare la realtà”

Un’altra accusa è quella di pensare troppo agli aspetti occupazionali e di essere troppo dipendenti dal mondo del lavoro. Che cosa risponde su questo punto?

“Quella di essere dipendenti dal mondo del lavoro è una falsa preoccupazione. Io so di aver fatto un buon lavoro se i miei ragazzi miei escono dalla scuola e trovano il lavoro. Io sento il dovere di prepararli a superare le esigenze del mondo del lavoro: da sei anni lavoriamo sulle soft skill e oggi chi si occupa di selezione del personale va a vedere chi ha davanti e se chi ha davanti sa lavorare in squadra, se è in grado di affrontare lo stress, se riesce non perdersi, a non avere ansie, se è dotato di una buona coscienziosità. Solo se rispondono a queste esigenze vanno poi a vedere i contenuti e io devo tener conto di queste cose, ma questo non significa essere dipendenti dal mondo del lavoro, significa lavorare bene per i nostri studenti”.

Di recente è entrata in vigore la Riforma dell’Istruzione tecnica e professionale con i percorsi cosiddetti 4+2 della filiera formativa tecnologico-professionale, un percorso di quattro anni di scuola superiore e due da svolgere negli Its Academy. Che cosa ne pensa?

“Sono stato incaricato di occuparmi di quella riforma e ammetto che può essere una buona idea. Tuttavia occorre dare più sicurezza alle scuole e alle famiglie che la filiera abbia un percorso regolare e con esiti previsti. Io che sono uno statistico so che i numeri parlano piu delle parole e se su 172 scuole iscritte sono rimaste poi un centinaio, qualcosa vorrà pur dire. Ci sono molte incertezze, dicevo: ad esempio il Campus non si sa ancora come sia definito e queste incertezze si pagano. Ho già spiegato in vari incontri che occorre far tesoro di queste situazioni per rimuoverle e per offrire una possibile attuazione. Aggiungo un altro esempio: l’ibrido tra istruzione tecnica e istruzione professionale produce dei problemi perché poi l’accesso agli ITS Academy dev’essere uguale per chi arriva dai tecnici e dai professionali ed è chiaro che non è facile ottenere competenze omogenee. Occorre fornire sicurezza sia ai genitori, sugli sbocchi per i loro figli, sia ai dirigenti scolastici sul piano dell’organizzazione”.

Il suo libro Emergenza educazione: una sfida per docenti, famiglie e mondo politico, è del 2010. Il problema della crisi educativa non si è certo risolto nel frattempo e la scuola è sempre la prima agenzia ad essere additata dagli studiosi del fenomeno. Che cosa ne pensa?

“Intanto, molti ragazzi non vedono nella scuola l’agenzia utile a formarli per avere una prospettiva di futuro personale. La seconda emergenza, che si è complicata negli ultimi anni, riguarda la motivazione e la fatica: andare a scuola è una fatica e se tu non hai un obiettivo non sei disposto a far fatica. E ragazzi che sono abituati ad avere tutto fin da piccoli, tante volte si dimostrano poco disponibili alla fatica”

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