Fonte: IlSussidiario.net
Articolo di Mario Predieri

Il Dl scuola 127/2025 mette ordine sul passaggio a un altro indirizzo senza esame integrativo. Ma sulla maturità torna il passato e confonde le idee
Anche l’anno scolastico 2025-2026 si apre con nuovi interventi legislativi che vanno a intrecciarsi con le norme scolastiche vigenti, in continuo aggiornamento sotto la spinta di esigenze reali e di mode passeggere. In realtà il nuovo decreto-legge 127/2025 recentemente licenziato dal Governo mette mano ad alcuni “bachi” che si sono manifestati in norme recentemente emanate, ma non si sottrae al difetto di voler “dare un segnale”, ritornando su procedimenti e sulle scelte assunte in una certa direzione e che ora sembrano rimesse in discussione.
Esame di maturità, filiera formativa tecnologico-professionale, risorse per il nuovo contratto, conferimento delle supplenze, trasporti durante uscite didattiche e viaggi d’istruzione, edilizia scolastica sono le principali materie del decreto. E i sindacati in audizione al Senato hanno proposto di inserire altre quattro o cinque questioni da affrontare.
Il provvedimento prende spunto dal dibattito – forse un po’ troppo lungo e acceso, visto il tema – scaturito dalla scelta di fare deliberatamente scena muta al colloquio orale dell’esame di Stato da parte di alcuni candidati ormai matematicamente promossi, in quanto il credito scolastico e i voti agli scritti già garantivano il superamento dell’esame.
Nell’occasione di un necessario intervento per scongiurare l’ulteriore svilimento di un esame che ormai, per tanti motivi, ha perso gran parte del suo senso e della sua efficacia, il ministro Valditara ha colto la possibilità di riordinare alcuni aspetti che esigevano una correzione e ha moltiplicato le materie del decreto che si occupa, come abbiamo visto, dei più svariati settori del mondo scolastico.
Ne è esempio l’annullamento dell’obbligo di partecipare a un esame integrativo per gli studenti che vogliano ottenere il passaggio a una classe corrispondente di altro percorso o indirizzo di scuola secondaria di secondo grado. Ma come sarà possibile cambiare istituto secondo il nuovo decreto? Entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno scolastico, gli studenti possono presentare domanda di iscrizione a una classe corrispondente di un diverso indirizzo dello stesso grado di istruzione. Non vi saranno esami: le scuole riceventi, in base al certificato delle competenze rilasciato dalla scuola di provenienza, dovranno individuare, nell’ambito della propria autonomia didattica, le modalità per accompagnare il passaggio dello studente da un percorso a un altro prevedendo gli interventi didattici necessari per colmare gli eventuali disallineamenti per un proficuo inserimento nel nuovo indirizzo o opzione.
È una scelta che abbraccia l’idea che ci siano aspetti di istruzione ed educativi sostanzialmente comuni nei due anni che appartengono all’obbligo di istruzione e che prevedono alla fine il rilascio del certificato delle competenze.
Ma è anche una presa d’atto delle difficoltà di ragazzi e famiglie a compiere un percorso di orientamento e del riconoscimento che l’errore di scelta non deve diventare una barriera sul percorso di studio degli alunni. Va nella direzione di accompagnare gli studenti evitando di costruire barriere tramite regole formali o vincoli disciplinari.
È una visione che appare ben diversa dalla scelta di ritornare alla denominazione “maturità” per l’esame conclusivo delle superiori e di trasformare il colloquio in quattro interrogazioni disciplinari. In questo caso il ministro sembra abbracciare un ibrido: una “nostalgia canaglia” per l’esame gentiliano, impossibile da restaurare, riporta indietro le lancette, ma solo fino alla maturità riformata “provvisoriamente” nel 1969 dal ministro democristiano Sullo, sull’onda della contestazione studentesca, e che durò immutata fino al 1999: quattro commissari per quattro materie che si sapranno a fine gennaio.
La maturità dei boomers, insomma! Vedremo quale stratagemma adotteranno i tecnici di Viale Trastevere per evitare che da quella data nelle classi quinte gli studenti si concentrino solo sulle materie individuate dal ministero, accantonando le altre. Sta di fatto che l’esame torna disciplinarista, ponendo in secondo piano il curriculum dello studente, il PCTO e l’educazione civica: aspetti certamente non esaurienti della scuola, ma che avevano permesso un’apertura degli studenti ad aspetti attivi e personalizzati, a percorsi diversi e a esperienze di realtà.
Da notare che l’esame di Stato del secondo ciclo è stato riformato nel 1997, modificato con sola commissione interna nel 2001, riportato alle commissioni miste nel 2007, ridotto a due prove scritte (senza quizzone) e un colloquio orale (che dà rilevanza all’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro) nel 2017, ridotto e semplificato per il Covid nel 2020, 2021, 2022. Inoltre il punteggio del credito scolastico è stato modificato svariate volte negli anni e, arrivando a 40 punti su 100, permette spesso agli studenti di raggiungere il fatidico 60 già con gli scritti. La scelta disciplinare del ministero afferma di voler andare nella direzione di una scuola seria: ma sono seri i legislatori scolastici che intervengono continuamente sulle stesse materie, modificando le regole agli studenti mentre stanno svolgendo il loro percorso di studi quinquennale?