Pubblicato il 31 Maggio 2025.

Fonte: Il sussidiario.net

Articolo di MArio Predieri

Il ministero dell’Istruzione ha introdotto pene più severe a salvaguardia dei docenti a scuola. Ma è la via giusta per riguadagnare il senso della norma?

Di recente ha avuto grande risalto sulle prime pagine dei quotidiani genovesi un episodio avvenuto in un istituto professionale del Ponente: la madre di un alunno, al culmine di una discussione con il dirigente scolastico, gli ha sferrato un pugno, costringendolo a ricorrere alle cure del pronto soccorso.

Pochi giorni dopo, all’interno del Festival biblico a Palazzo Ducale di Genova, si è svolto un incontro con Adolfo Ceretti sul tema della giustizia riparativa. I due eventi diversi e, per certi versi addirittura in contrasto, ci permettono, però, di avviare una riflessione su un tema che ha suscitato grande clamore sui media e provocato iniziative governative e parlamentari. I fatti vanno sempre letti nel loro contesto e devono essere osservati con realismo, evitando di enfatizzarli sull’onda delle campagne mediatiche. È innegabile, tuttavia, che si stia assistendo a un deterioramento del rapporto tra i cittadini e i pubblici servizi il quale investe, in modo rilevante, anche la scuola, secondo proprie peculiari caratteristiche.

La reazione governativa è stata duplice. Innanzi tutto la legge 25/2024 intende contrastare il crescente fenomeno degli atti di aggressione da parte di studenti e genitori nei confronti del personale della scuola. Da un lato, prescrive azioni di prevenzione e monitoraggio degli episodi con l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza del personale scolastico; dall’altro, inasprisce le pene per i reati commessi nei confronti di pubblici ufficiali.

Sul versante penale si introduce, tra le circostanze aggravanti di reato, l’aver agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente. Nel caso di violenza, minaccia o oltraggio a pubblico ufficiale la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso da un genitore o da un tutore dell’alunno.

In secondo luogo la legge 150/2024 ha inasprito sospensioni e voto di condotta per gravi e reiterate mancanze disciplinari, atti di violenza o aggressione nei confronti del personale scolastico.

L’azione voluta dal ministro Valditara, ma salutata anche con un certo favore dai sindacati, ha mirato a una maggiore severità per contenere e dissuadere i violenti e rafforzare l’autorità della scuola. Ma ripristinare la cultura del rispetto, contribuire ad affermare l’autorevolezza dei docenti e riportare serenità nelle scuole si può ottenere con la sola riaffermazione di “ordine e disciplina”?

E sappiamo bene che anche l’applicazione certa della norma e della sanzione non rimette le cose a posto. Come ha sottolineato Marta Cartabia in una recente intervista, “anche nella pratica della Giustizia i “conti non tornano mai” e “il trauma e la perdita causati dal reato non possono essere mai colmati nemmeno dalla pena severa”. È sufficiente tale approccio alla specificità degli ambienti scolastici perché essi realizzino educazione e formazione?

Il problema non va ben più alla radice? Non coinvolge, per quanto riguarda la scuola, quell’impostazione che negli ultimi decenni ha messo sostanzialmente in discussione il concetto stesso di autorità educativa?

Anche i docenti in fondo hanno la stessa funzione che Massimo Recalcati sottolinea per il padre: testimoniare che la vita umana è attraversata dal limite. Ma, rispetto a un passato che si può anche nostalgicamente rimpiangere o vagheggiare – e che non sembra proprio essere in fase di ritorno – i giovani hanno bisogno di testimoni che non si illudano di poter esaurire la propria azione semplicemente dicendo loro qual è il senso dell’esistenza, bensì che mostrino attraverso la loro vita che l’esistenza può avere un senso.

Per questo motivo superare la semplice riaffermazione del principio di autorità o il suo rafforzamento con la mera sanzione è la sfida che attende la scuola.

Moltiplicare le norme e rendere più aspre le sanzioni è una strada spesso intrapresa con l’intento di rafforzare l’autorità, ma, mentre assicura la sicurezza e il rispetto, la scuola deve aiutare a far comprendere il senso della norma ovvero il senso del limite.

Da questo punto di vista la giustizia riparativa può fornire idee e suggestioni e forse anche indicazioni di metodo, che è utile ricordare: infatti, pur essendo un argomento di cui spesso si parla, non pare conosciuto nei suoi aspetti metodologici.

Innanzi tutto essa mette l’accento sulla responsabilità, in capo all’autore di un’infrazione, di porre attivamente rimedio alle conseguenze dannose che la sua condotta ha cagionato, avendo riguardo in primo luogo ai bisogni della vittima, piuttosto che sulla punizione dell’autore.

Inoltre prevede il coinvolgimento diretto della vittima, dell’autore del reato e, eventualmente, di altri soggetti interessati (i rispettivi entourages di relazioni, e la comunità civile), in un processo di risoluzione del conflitto.

Alla base del metodo sta la necessità di porre le proprie domande, ascoltare e di essere ascoltati. Ma com’è possibile questo, se non si riconosce che, in qualche modo o in qualche parte, nelle parole dell’altro ci possa essere verità?

Importante è anche sottolineare la necessità di un mediatore che sia equi-prossimo e non semplicemente equidistante da vittima e autore dell’infrazione.

Tenendo ovviamente conto della diversità dei contesti e del rilievo delle infrazioni, alcuni aspetti possono offrire spunti concreti per affrontare un percorso riparativo anche all’interno della scuola, nei rapporti tra i compagni e tra i giovani e gli adulti.

Ad esempio, nel corso del Convegno al Ducale citato all’inizio, l’avvocato Raffaele Caruso ricordava l’esperienza di due ragazzi, uno autore e l’altro vittima di una rapina, espressione finale dei comportamenti da bullo messi in atto dal primo. La vittima, nel percorso di riparazione, che è diventato un percorso di consapevolezza e ha coinvolto le famiglie di entrambi, ha chiesto e ottenuto una sola cosa molto semplice: che cessassero del tutto e completamente gli atti di bullismo e si potesse sentire pienamente sicuro. E tale conclusione è stata fatta propria dal giudice nei modi e nelle forme previste dalla procedura.

Certo: condizione necessaria per accedere al percorso di riparazione è la libera scelta di entrambi di muoversi in questa direzione. Ma, anche da questo punto di vista, il contesto formativo ed educativo della scuola può essere in grado di proporre e promuovere tale scelta. Riparare, ristorare, ricucire, rimettere insieme i pezzi infranti dai comportamenti sbagliati può essere una strada per recuperare lo scopo  del lavoro educativo della scuola e condividere l’impegno per un bene comune.

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