Pubblicato il 17 Giugno 2025.

Fonte: Orizzonte scuola - Scuola7

Articolo di Andrea Carlino - Gabriee Benassi

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato una circolare che estende il divieto di utilizzo degli smartphone anche agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado.

La decisione, che segue la precedente disposizione per il primo ciclo a luglio 2024, si basa, secondo quanto si legge nel documento ministeriale, su evidenze scientifiche che dimostrano gli effetti negativi dei dispositivi mobili su apprendimento e benessere degli adolescenti.

Le evidenze scientifiche alla base del provvedimento

La circolare, firmata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, cita numerosi studi internazionali a supporto della decisione. L’OCSE, nel rapporto 2024 “From decline to revival: Policies to unlock human capital and productivity”, evidenzia gli effetti negativi dell’uso di smartphone e social media sul rendimento scolastico, collegando il fenomeno al calo dei punteggi PISA.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato nel rapporto 2024 come l’uso problematico dei social media tra adolescenti abbia subito un “notevole incremento”, con diffusione di fenomeni di dipendenza quali incapacità di controllo, sintomi da astinenza e trascuratezza di altre attività. L’Istituto Superiore di Sanità conferma che oltre il 25% degli adolescenti presenta un uso problematico dello smartphone, con conseguenze negative su sonno, concentrazione e relazioni sociali.

Regolamenti scolastici da aggiornare, eccezioni previste

Le istituzioni scolastiche dovranno aggiornare i propri regolamenti e il patto di corresponsabilità educativa, prevedendo sanzioni disciplinari specifiche per chi contravviene al divieto. L’autonomia scolastica determinerà le misure organizzative per garantire il rispetto della norma.

Restano previste eccezioni per studenti con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento quando il dispositivo sia previsto nei rispettivi piani educativi, per “motivate necessità personali” e negli indirizzi tecnologici dedicati a informatica e telecomunicazioni.

Confermato l’utilizzo di altri dispositivi digitali come PC, tablet e lavagne elettroniche per finalità didattiche, mentre la scuola dovrà rafforzare l’educazione all’uso responsabile delle tecnologie digitali.

L’annuncio del Ministro in tv

L’estensione del divieto era stata anticipata da Valditara durante la trasmissione “5 minuti” su Rai1, dove aveva sottolineato il successo della misura già applicata a primarie e medie: “Quest’anno è andata molto bene. Grande consenso da parte dei docenti, delle famiglie, ma anche sorprendentemente da parte degli studenti, perché un momento per disintossicarsi a loro fa molto bene”.

Il ministro aveva evidenziato dati allarmanti: bambini di 6 anni che accedono a siti pornografici, il 38% di ragazzi che soffre di disturbi del sonno causati dal cellulare e il triplo delle bocciature per chi fa uso smodato del dispositivo. “Dal punto di vista scolastico il cellulare ha un impatto senz’altro negativo”, aveva dichiarato a “Porta a Porta”, auspicando un ritorno “all’uso del libro, della carta e la penna”.

L’Italia guida la battaglia europea contro gli smartphone a scuola

La proposta italiana presentata il 12 maggio a Bruxelles per eliminare i cellulari dalle scuole UE almeno fino ai 14 anni ha ottenuto l’adesione di Austria, Francia, Ungheria, Slovacchia e Svezia, con il sostegno annunciato da Lituania, Cipro, Grecia e Belgio. L’obiettivo è arrivare a una raccomandazione della Commissione Europea.

Nel panorama europeo, la Francia ha fatto da pioniera nel 2018 con il divieto completo, mentre la Finlandia ha approvato nel 2025 una legge che limita l’uso durante l’orario scolastico. Valditara ha definito “drammatici” gli effetti dell’uso smodato degli smartphone, ribadendo l’importanza di vietare i social network sotto i 15 anni e auspicando l’approvazione della proposta di legge bipartisan in discussione in Parlamento.

Circolare

Pier Cesare RIvoltella suggerisce la lettura di questo articolo di Benassi sul tema.

Un commento…

Smartphone a scuola

Per un’educazione digitale consapevole

L’approccio dell’Italia all’uso degli smartphone nelle scuole ha visto recenti sviluppi normativi che privilegiano una visione protettiva e di divieto. La Circolare Ministeriale del 19 dicembre 2022 (prot. n. 107190) aveva già introdotto il divieto di utilizzo degli smartphone nel primo ciclo d’istruzione (scuole primarie e secondarie di primo grado)[1]. Il divieto è stato poi, da settembre 2025, esteso anche alle scuole superiori.  A partire dall’anno scolastico 2025-2026, l’uso degli smartphone viene vietato anche nelle scuole superiori.

Contemporaneamente, le scuole sono chiamate a costruire un progetto educativo organico per guidare gli studenti verso un uso critico, responsabile e creativo della tecnologia, come indicato anche nell’ultima bozza delle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo. Nel lavoro in classe gli studenti non possono usare il proprio smartphone ma solo i dispositivi messi a disposizione dalla scuola o un proprio tablet (anche se non si capisce perché viene ritenuto diverso dallo smartphone).

Basta proibire?

Sulla “carta” appare tutto coerente, ma nella realtà si continua a vivere in un paradosso: l’inevitabile integrazione della tecnologia nella vita degli studenti si scontra con un significativo ritardo educativo. Gli studenti infatti già navigano in ambienti digitali complessi, con le loro opportunità e i possibili pericoli, in gran parte senza il supporto pedagogico strutturato delle istituzioni e delle famiglie. La semplice proibizione dei dispositivi, sebbene possa sembrare risolutiva, non riesce a dotare gli studenti delle competenze critiche necessarie per un coinvolgimento digitale responsabile nella vita quotidiana. Rimuovendo lo strumento, la scuola elimina anche l’opportunità di insegnare come gestirlo responsabilmente. Questo “cortocircuito educativo” potrebbe contribuire a creare un’altra generazione impreparata a navigare nel mondo digitale/analogico in cui abita quotidianamente, rischiando di vivere il rapporto con lo smartphone in modo furtivo e colpevolizzante. La conseguenza a lungo termine potrebbe essere quella di una generazione priva dei meccanismi interni per un uso digitale responsabile, che si affida esclusivamente a controlli esterni assenti al di fuori della scuola stessa.

Superare la dicotomia “vietare o consentire”

Una politica efficace deve quindi superare la semplice dicotomia “vietare o consentire” per giungere a un quadro più sofisticato che integri la protezione con l’educazione proattiva. Ciò significa progettare politiche che non solo mitighino i rischi, ma promuovano attivamente la resilienza digitale, il pensiero critico e l’autoregolazione, garantendo che gli studenti sviluppino il giudizio e le competenze per prosperare in un mondo connesso piuttosto che essere semplicemente riparati e protetti.

Se l’esistenza digitale è parte integrante della realtà, allora l’educazione digitale non può essere una materia isolata o un’aggiunta opzionale, ma deve essere intrecciata nel tessuto educativo: apprendimento, formazione dell’identità, interazione sociale. Qualsiasi strategia educativa che tenti di separare artificialmente gli studenti dalla loro realtà “onlife” attraverso divieti generalizzati senza quadri educativi compensativi potrebbe rischiare di diventare irrilevante o addirittura dannosa, non riuscendo a preparare gli studenti per il mondo in cui effettivamente vivono.

I rischi evidenziati dalle ricerche scientifiche

La ricerca neuroscientifica ha documentato rischi associati all’uso precoce e incontrollato degli smartphone. Diversi studi indicano che l’uso intensivo prima dei 12 anni può influenzare negativamente lo sviluppo delle funzioni esecutive: attenzione sostenuta, memoria di lavoro e controllo inibitorio. La ricerca di Twenge e Campbell (2018) su oltre 40.000 studenti americani ha documentato un calo significativo nei punteggi delle prove standardizzate correlato all’aumento del tempo-schermo. In Italia, i dati INVALSI 2023 mostrano tendenze simili: nelle scuole dove l’uso degli smartphone è meno regolamentato, si registrano performance inferiori del 12% nelle prove di comprensione del testo. Il fenomeno della “nomofobia” (paura di rimanere senza telefono) colpisce oggi il 58% degli studenti delle scuole superiori. Particolarmente significativo è l’effetto “brain drain”: la ricerca di Ward et al. (2017) ha dimostrato che la mera presenza di uno smartphone sul banco riduce le performance cognitive del 10%, anche quando è spento.

Il meccanismo alla base di questi effetti è complesso e coinvolge alterazioni dei circuiti della ricompensa, favorendo comportamenti di ricerca compulsiva di stimoli immediati a scapito delle attività che richiedono concentrazione prolungata. L’aumento dell’ansia sociale, dell’irritabilità e dei disturbi del sonno rappresentano effetti collaterali sempre più frequenti.

In risposta a queste tendenze le soluzioni più gettonate sembrerebbero quelle di ritardare l’età del primo smartphone ai 14 anni e di vietarne l’uso totale nelle scuole.

Ma ci sono anche i punti di forza

Tuttavia, la realtà è più complessa di quanto suggeriscano questi allarmi. Meta-analisi più recenti invitano a una lettura più sfumata.

  • Sull’effettobrain drain“: solo la memoria di lavoro risulta negativamente influenzata dalla presenza dello smartphone, mentre per altre funzioni cognitive l’effetto non è significativo[2].
  • Sulla causalità: molte ricerche hanno natura trasversale e non consentono interpretazioni causali dirette. È possibile che una maggiore emotività negativa preesistente aumenti il rischio di uso problematico[3].
  • Sull’efficacia dei divieti: uno studio dell’Università di Birmingham pubblicato sulla rivista Lancet[4] ha concluso che i divieti scolastici non sono collegati a voti più alti o migliore benessere mentale, suggerendo che “non sono sufficienti per affrontare gli impatti negativi”.
  • Sul rendimento: diverse meta-analisi riscontrano una piccola dimensione dell’effetto (r = -0.110 a -0.12) tra uso problematico e performance, indicando una relazione causale non forte né isolata[5].

Anche la letteratura scientifica non sembra dunque compatta e coesa, anzi, il dibattito è vivo e acceso. Basti pensare alla polarizzazione di professionisti come Pellai e Lancini, Rivoltella e Novara. La domanda centrale è se i fenomeni e le patologie sopra descritte stiano allo smartphone in un rapporto di causalità o correlazione. Occorre più prudenza: la tecnofobia e la demonizzazione dello smartphone non sono la soluzione e le cause dei disagi e delle nuove patologie comportamentali sono molteplici e interconnesse, sicuramente non superabili con semplificazioni e scorciatoie, soprattutto in riferimento alle generazioni più giovani che hanno subito in infanzia e preadolescenza l’esperienza alienante del Covid.

È in corso un prezioso confronto fra le varie posizioni e segnaliamo in tal senso il contributo degli Stati generali dell’Infanzia e dell’adolescenza in Emilia-Romagna[6], il prezioso ed equilibrato contributo del CREMIT[7], oltre al nuovo volume di Gallese, Rivoltella, Moriggi “Oltre la tecnofobia[8] pubblicato proprio nel pieno del dibattito e ricco di riflessioni e argomenti imprescindibili.

Gli smartphone, inseriti in un contesto didattico progettato e pedagogicamente fondato, offrono straordinarie opportunità per una didattica costruttivista, inclusiva, collaborativa. Permettono un accesso democratico e diffuso ai contenuti e alle risorse educative, favoriscono l’accessibilità, i processi collaborativi come la co-scrittura in modalità wiki, migliorando le competenze linguistiche e digitali, facilitando anche lo sviluppo di soft skills essenziali come comunicazione, negoziazione e leadership distribuita. Per gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) o bisogni educativi speciali (BES), gli smartphone diventano strumenti compensativi preziosi: ci sono applicazioni per la sintesi vocale, mappe concettuali digitali, registratori audio, chatbot personalizzati. Rappresentano risorse che possono fare la differenza e che sono tutte fruibili da uno smartphone.

Lavorare con il digitale: da consumatore a creatore

L’aspetto più interessante riguarda il potenziale di trasformare ogni studente da consumatore passivo a produttore attivo di contenuti. La realtà è che si continua a confondere il contenitore con il contenuto, semplificando la complessità e colpevolizzando il significante e non il significato. Siamo oggettivamente entrati in una fase tecnofobica, nella quale ci si illude di facilitare l’approccio educativo cancellando un comportamento problematico a cui si assegna un significato più ampio di quello che ha. Significa, in altre parole, illudersi che una soluzione limitata e parziale possa risolvere una questione di una portata molto ampia e complessa: è come eliminare l’acquario, quando siamo tutti immersi nel mare. Bisogna, invece, saper nuotare e insegnare a nuotare. Lo smartphone non è metaforicamente associabile al fumo, come dicono alcuni, ma all’acqua: se non sai nuotare affoghi; se nessuno ti insegna a nuotare, puoi imparare tutt’al più a galleggiare; se qualcuno ti insegna, invece, impari a gestire la complessità nella normalità. Un’educazione digitale completa deve dotare gli studenti della comprensione critica necessaria per nuotare nei “mari” multiformi delle piattaforme online.

Gli studenti devono sviluppare la “competenza contestuale digitale”, cioè la capacità di riconoscere le differenze tra contesti e adattare il proprio comportamento di conseguenza. L’alfabetizzazione algoritmica emerge come pietra angolare della cittadinanza moderna. Gli studenti devono comprendere:

  • i modelli economici delle piattaforme digitali;
  • le strategie di manipolazione comportamentale degli algoritmi;
  • l’influenza degli algoritmi di ricerca e raccomandazione.

Gli studenti devono essere, soprattutto, consapevoli che i social network sono aziende che generano profitto dai dati degli utenti e dalle loro scelte, comprendere altresì come gli algoritmi siano progettati per massimizzare il coinvolgimento attraverso strategie specifiche di manipolazione comportamentale. Devono imparare a capire l’influenza profonda degli algoritmi di ricerca, sperimentare attivamente come le ricerche siano influenzate dai profili digitali e sviluppare strategie per diversificare le fonti di informazione e contrastare “echo chambers”[9] e “filter bubbles[10]”.

Lo sviluppo di un approccio critico alla realtà non può non partire da tali consapevolezze. È così che si stanno orientando molte scuole in Europa. Un esempio è sia l’Estonia, Paese che ha scelto un approccio totalmente digitale, sia la Francia, che ha scelto un approccio intermedio.

L’esempio di Estonia e Francia: due modelli diversi

Il sistema scolastico estone si distingue per aver adottato un approccio radicalmente diverso da quello italiano:

  • cerca di integrare l’uso consapevole della tecnologia nei curricula fin dalla scuola primaria;
  • forma sistematicamente gli insegnanti nelle competenze digitali;
  • coltiva una cultura scolastica in cui la tecnologia è strumento per l’apprendimento attivo.

I risultati sembrano convincenti: gli studenti estoni raggiungono alte prestazioni sia nelle competenze tradizionali che digitali, mostrando livelli inferiori di comportamenti problematici online.

La Francia ha adottato un approccio intermedio. Pur implementando un divieto nelle scuole primarie e medie, ha accompagnato questa misura con investimenti sostanziali nella formazione degli insegnanti e nello sviluppo di curricula di educazione digitale. Il piano nazionale “École numérique” prevede 150 ore di formazione obbligatoria per tutti i docenti. Gli studenti sono poi abituati a sostenere una prova comune di misurazione delle competenze digitali sulla piattaforma nazionale pix.fr[11] che testa e misura i livelli di competenza in modo pratico ed efficace.

Le due esperienze, che evidenziano un design educativo sistemico rispetto a politiche isolate, sembrano avvalorare l’idea che non basta il divieto per superare un problema.

Gli studenti estoni hanno alte prestazioni sia nelle competenze tradizionali sia in quelle digitali, oltre a un comportamento online problematico di minore consistenza. Questo successo sembra esplicitamente attribuito a un “approccio sistemico” che comprende formazione degli insegnanti, curricula strutturati, infrastrutture e una cultura organizzativa coerente. Così in Francia (in cui ritroviamo, come per l’Italia, un divieto) che investe però in modo significativo soprattutto nella formazione degli insegnanti e nei curricula di educazione digitale.

Un divieto senza un accompagnamento educativo è chiaramente meno efficace di un divieto con un investimento educativo significativo o di un modello di piena integrazione.

Tutte le politiche dovrebbero, quindi, concentrarsi non solo sul “cosa vietare o consentire”, ma sul come integrare la tecnologia in un quadro pedagogico olistico che promuova la resilienza digitale e le competenze per la vita, piuttosto che limitarsi a imporre regole. Un esempio concreto è la proposta di Hermmes.

Il curriculum HERMMES: una mediazione concreta?

È stato di recente presentato il curriculum europeo HERMMES (Holistic Education for Resilience in Media and Mindful Engagement for Students)[12]. Rappresenta una proposta concreta per accompagnare bambini e ragazzi verso una maturità digitale autentica. Nato dalla collaborazione tra università europee, istituzioni scolastiche e organizzazioni della società civile, è strutturato secondo una logica progressiva dagli 0 ai 18 anni accompagnando gli studenti attraverso tappe di crescita digitale calibrate sullo sviluppo cognitivo ed emotivo.

Si oppone sia alla retorica dell’allarme, sia all’adozione acritica degli strumenti digitali, proponendo una terza via: educare al senso critico e alla capacità di scelta, rendendo i bambini e i ragazzi attori consapevoli del proprio rapporto con la tecnologia. Ad esempio, propone di insegnare cosa sia un algoritmo o come funzionino i filtri informativi e le fake news, aiutando gli studenti a riconoscere le pressioni sociali e ad adottare strategie per limitare il tempo online. In questo contesto di complessità e ambivalenza, il curriculum HERMMES rappresenta un’opportunità educativa preziosa e concreta. Il curriculum si fonda su cinque aree di competenza ispirate al quadro europeo DigComp 2.2:

  • sicurezza e benessere. Sono mirati a costruire una personalità resiliente e prevenire fenomeni come il cyberbullismo e la dipendenza, con attività che vanno da giochi di ruolo analogici a workshop sulla gestione del tempo-schermo;
  • pensiero computazionale e problem solving. Sviluppano la comprensione dei meccanismi digitali attraverso il coding unplugged e la programmazione, affrontando sfide concrete;
  • creazione di contenuti (anche analogici). Trasforma gli studenti in produttori attivi di contenuti multimediali, dal podcast al giornalismo scolastico;
  • alfabetizzazione critica dei dati. Insegna a valutare le fonti, riconoscere i bias e comprendere gli algoritmi;
  • Comunicazione, cooperazione ed empatia: rafforzano le competenze relazionali, valorizzando il dialogo, l’ascolto e la gestione dei conflitti. Include esperienze di social network analogici e simulazioni di discussioni online, con un focus sull’empatia digitale.

La forza di questo modello risiede nella sua coerenza pedagogica: non propone un uso precoce della tecnologia, ma una progressiva preparazione allo stare nel mondo digitale, partendo da attività concrete, spesso analogiche, che sviluppano competenze profonde e sostenibili, bilanciando la prevenzione dei rischi con la promozione delle competenze digitali. Le evidenze della ricerca mostrano chiaramente che un’educazione digitale efficace richiede un approccio sistemico che integri la formazione dei docenti, il coinvolgimento delle famiglie, curricula strutturati e ambienti di apprendimento ripensati. Non basta non dare in mano il dispositivo se non si educano le nuove generazioni al digitale lavorando anche in analogico.

Verso una sintesi creativa: educare per la complessità

La questione degli smartphone a scuola rappresenta la punta dell’iceberg di una trasformazione educativa più profonda. Non si tratta di decidere se consentire o vietare un dispositivo, ma di ripensare come preparare i giovani a vivere, lavorare ed essere cittadini attivi in una società digitale. La strada del divieto, pur comprensibile nelle motivazioni protettive, rischia di creare disconnessione tra mondo scolastico e realtà quotidiana degli studenti. Un approccio educativo maturo può trasformare le sfide del digitale in opportunità di crescita autentica.

La vera sfida educativa del nostro tempo non è scegliere tra tradizione e innovazione, ma costruire sintesi creative che integrino il meglio di entrambe le dimensioni. Gli studenti hanno bisogno di competenze per un mondo in trasformazione, ma anche di stabilità interiore e capacità di riflessione per navigare il cambiamento senza perdere la propria umanità.

L’educazione digitale ben progettata non sostituisce le competenze tradizionali ma le potenzia. La lettura profonda non contraddice la navigazione ipertestuale, la scrittura a mano non è incompatibile con la composizione digitale, la relazione faccia a faccia non è alternativa alla comunicazione online. Si tratta di sviluppare un repertorio ricco e flessibile che permetta agli studenti di scegliere lo strumento più adatto a ogni situazione.

In questa prospettiva, lo smartphone diventa uno strumento tra i tanti che può contribuire a un progetto educativo più ampio: formare persone capaci di pensare criticamente, comunicare efficacemente, collaborare costruttivamente e vivere pienamente nella complessità del mondo contemporaneo.

Le scuole che sapranno raccogliere questa sfida non saranno quelle con le tecnologie più avanzate o i divieti più rigidi, ma quelle che costruiranno comunità di apprendimento autentiche dove studenti, docenti e famiglie crescono insieme nella comprensione e nell’uso consapevole delle possibilità tecnologiche.

La vera rivoluzione educativa non sta nelle tecnologie, ma nella saggezza con cui le utilizziamo per amplificare ciò che di più prezioso portiamo dentro: curiosità, creatività, empatia e capacità di dare senso al mondo che ci circonda. Educare alla tecnologia significa, in ultima analisi, educare all’umanità.


[1] Cfr. G. Benassi, Smartphone in classe: un problema reale per l’apprendimento?, in “Scuola7-392”.

[2] Does the mere presence of a smartphone impact cognitive performance? A meta-analysis of the “brain drain effect”.

[3] Neuroimaging: gli effetti dell’uso eccessivo degli smartphone sulla funzione e la struttura del cervello: una revisione dello stato attuale dei risultati basati sulla risonanza magnetica e una tabella di marcia per la ricerca futura.

[4] Norme telefoniche scolastiche e loro associazione con il benessere mentale, l’uso del telefono e l’uso dei social media (SMART Schools): uno studio osservazionale trasversale.

[5]  NIH. Reexamining the “brain drain” effect: A replication of Ward et al. (2017).

[6] Regione Emilia-Romagna Oltre gli schermi. Tablet, smartphone, dispositivi elettronici: gli effetti su bambini e adolescenti”.

[7] CREMIT. Smartphone, social media e salute mentale degli adolescenti: una mappa per orientarsi tra rischi, evidenze e policy.

[8] V. Galles, S. Moriggi, PC Rivoltella, Oltre la Tecnofobia. Il digitale dalle neuroscienze all’educazione, Raffaello Cortina editore, 2025. 

[9] Le “Echo chambers” sono spazi dove si rinforzano le proprie convinzioni attraverso la ripetizione di idee e informazioni.

[10] Le “Filter bubbles” sono il risultato di algoritmi che personalizzano i contenuti, limitando l’esposizione a diverse opinioni.

[11] Cultivez vos compétences numériques. Pix est le service public en ligne pour évaluer, développer, et certifier ses compétences numériques.

[12] The hermmes curriculum: è progettato per supportare gli insegnanti di scuole materne nell’aiutare i bambini e i giovani a diventare digital resilienti, media adulti maturi passo dopo passo.

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