Fonte: Orizzontescuola.it
Articolo di Vincenzo Brancatisano

“Non è vero che i percorsi quadriennali sono negativi per gli studenti, da statistico non metto in discussione le analisi dei dati fatta dalla Fondazione Agnelli, di cui non sono in possesso, posso dire, per quel che mi riguarda, che se ben organizzati – come chiede anche Andrea Gavosto –, è vero l’opposto, ossia sono positivi per gli studenti.”
Il Rettore Roberto Pasolini critica con fermezza “la dichiarazione generalizzata” di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, che alla luce dei risultati di Eduscopio 2025 aveva gettato un po’ di ombre sui percorsi quadriennali della scuola secondaria di secondo grado. “I risultati della nostra analisi – aveva detto Gavosto – suggeriscono che un percorso quadriennale che anticipi a 18 anni l’uscita dalla scuola secondaria, in assenza di un profondo ripensamento didattico e organizzativo, potrebbe avere effetti negativi sulle competenze degli studenti e sulle loro prospettive successive”.
Per verificare, si legge nel report di Eduscopio 2025m “se il percorso nel primo anno accademico dei diplomati quadriennali si sia distinto o meno – in termini di propensione all’immatricolazione, di voti agli esami e di Cfu conseguiti rispetto a quelli previsti – da quello dei loro compagni che hanno completato un corso “tradizionale” quinquennale, sono stati individuati gli studenti che hanno conseguito un diploma di maturità di un certo indirizzo in istituti che, per quella maturità, avevano attivato entrambi i percorsi, quadriennale e quinquennale. In questo modo è stato possibile confrontare ragazze e ragazzi che hanno studiato in un contestoeducativoomogeneo. Sulla base di questo criterio, abbiamo raffrontato 1.885 diplomati quadriennali con 8.558 diplomatiquinquennali compagni di scuola dei primi”.
I dati farebbero emergere voti inferiori, sia pure di molto poco, rispetto a quelli dei loro colleghi dei quinquennali, e anche un valore più piccolo della percentuale di CFU conseguiti, ciò che farebbe immaginare una minore preparazione, da parte dei giovani usciti dai quadriennali e iscritti al primo anno nel superare gli esami e raggiungere il numero di crediti richiesti. Tutto questo ha spinto Gavosto a suggerire che i percorsi quadriennali potrebbero non essere così
positivi per gli studenti che li scegliessero. Peraltro, “non è vero – ha poi precisato Gavosto – che nella maggior parte dei Paesi europei la scuola secondaria finisca a 18 anni, come talvolta si afferma. Più in generale, prima di mettere a sistema riforme con l’obiettivo di migliorare la qualità degli apprendimenti e le opportunità di successo degli studenti italiani, credo sarebbe doveroso valutare l’efficacia delle sperimentazioni che anticipano le riforme auspicate, così da poter ancora intervenire per tempo con aggiustamenti, allorché gli esiti non siano quelli originariamente attesi. Questo, purtroppo, non sempre avviene nel nostro Paese”.
E mentre non è mancato chi ha addirittura messo in relazione queste rilevazioni sui quadriennali con i risultati non brillanti emersi al test d’ingresso alla Facoltà di Medicina come segno di indebolimento dell’azione didattica della scuola italiana, Roberto Pasolini rimanda al mittente tutte le accuse generalizzate, chiedendo un giusto e adeguato approfondimento. Pasolini dirige l’Istituto Europeo Leopardi di Milano, una scuola paritaria di grande livello che comprende tutti i gradi di istruzione, dall’infanzia ai licei. Rettore dell’Istituto Europeo Leopardi, Roberto Pasolini, insignito il giugno scorso dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica, ha quasi 82 anni ma resta sempre giovanissimo nello spirito e nella passione per l’istruzione e per l’innovazione. Si occupa di scuola dal 1969. Ammette di sentirsi “molto fortunato di aver potuto intraprendere una professione che gli ha permesso di vivere con i giovani per aiutarli a crescere e a saper sognare per costruirsi un futuro”. Ripete spesso: “la professione più bella del mondo”. Da sempre impegnato per l’ottenimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e per la pari dignità delle istituzioni non statali, è stato tra i fondatori della Conferenza Permanente delle Autonomie, Segretario Generale del Comitato Politico Scolastico, è dirigente nazionale di ANINSEI (Associazione Nazionale Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione) è consulente parlamentare. È stato negli anni coinvolto in molte commissioni tecniche ministeriali.
Roberto Pasolini è molto orgoglioso della scuola che dirige: l’Istituto Europeo Leopardi di Milano. L’Istituto offre servizi educativi dalla Scuola dell’Infanzia fino alla Secondaria di Secondo Grado: tra questi, tutti quinquennali, anche l’Istituto Tecnico Economico Quadriennale (ITE) – Indirizzo Amministrazione Finanza e Marketing, Liceo Linguistico Quadriennale, Liceo delle Scienze Umane, Liceo Europeo – Indirizzo Giuridico-Economico, Liceo Europeo Linguistico – Indirizzo Linguistico Moderno, Liceo Scientifico e Liceo Scientifico Sportivo.
Dunque, anche per questo lei si sente punto sul vivo. È così, professor Roberto Pasolini?
Non ho digerito alcune affermazioni perché generalizzate e non corrispondono a pieno alla realtà. Non si può fare di ogni erba un fascio.
Entrando nel merito, perché non corrisponde alle sue vedute l’affermazione secondo cui la riduzione temporale del corso di studi potrebbe creare degli svantaggi agli studenti?
Io sono convinto da sempre che l’allineamento temporale della scuola italiana a quella europea e mondiale sarebbe un utile vantaggio per gli studenti italiani. All’estero gli studenti escono dalla scuola a18 anni mentre i nostri escono a 19. Quell’allineamento era ed è da prendere in considerazione, ma ci sono delle questioni di vario genere che ostacolano questo processo.
com’è la situazione all’estero?
In tutta Europa ci sono solo tre o quattro i Paesi che come il nostro hanno 13 anni di istruzione contro i 12: la Germania e altri. Altri ancora sono legati al sistema anglosassoni, come Malta in cui l’anno in più iniziale è dovuto al fatto che la scuola inizia a cinque anni. Parte da cinque anni, quindi nel complesso ne fanno 13, cioè fanno come noi ma con un finale di quattro anni, e con quello hanno un diploma che ha valore in tutto il mondo. Una mia studentessa – ad esempio – che ha fatto due anni di liceo giuridico ed economico poi è andata in Inghilterra e quando è tornata diplomata, dopo due anni, è andata alla Bocconi mentre i suoi compagni frequentavano il quinto anno. Sono una decina nel mondo i Paesi che prevedono 13 anni di istruzione, la Russia ne ha solo 11. Io ho sempre lavorato per riuscire a dare ai miei studenti una scuola del tutto normale, con stretta osservanza delle indicazioni nazionali e del profilo in uscita, non certo elitaria, ma riorganizzata in modo da consentire agli studenti di anticipare l’uscita dal proprio percorso a 18 anni. Per questo sono in disaccordo con Andrea Gavosto quando dice che non è vero che in Europa finiscono quasi tutti a 18 anni.
Gavosto sostiene che non è vero che in altri Paesi si esca dopo 12 anni di istruzione.
I dati a mia disposizione evidenziano che solo una ventina di Paesi in tutto il mondo hanno un percorso superiore a 12 anni dei quali la maggior parte utilizza il sistema anglosassone con inizio a 5 anni come già detto di Malta. Gavosto invece ha ragione quando dice che i quadriennali possono avere debolezze perché occorre preparare i docenti a valutare e a programmare. I percorsi quadriennali necessitano un diverso approccio di carattere complessivo e se non lo si fa bene i rischi di un abbassamento dei livelli di apprendimento è alto. Vale per i quadriennali quello che si è detto dell’introduzione della didattica digitale: non basta mettere in mano ad uno studente un tablet, ma, per ottenere risultati, occorre modificare la metodologia didattica, su questo Andrea Gavosto ha perfettamente ragione.
Provi con una risposta a convincere i più pessimisti che un percorso d’istruzione ridotto di un anno non significa scuola più facile e meno rigorosa
Le racconto l’esperienza nella mia scuola. Io parto dal principio che la scuola dev’essere per tutti e dare una opportunità a tutti. Dev’esserci anche la bocciatura, ma non deve deprimere e demoralizzare, deve semmai incentivare, in collaborazione con la famiglia, a voler ottenere una rivincita personale l’anno successivo. Ho costruito il mio quadriennale secondo questa impostazione: per studenti volenterosi, con un orario sostenibile, aperto anche a qualche studente con certificazione DSA, pienamente rispettoso delle indicazioni nazionali e del profilo in uscita previsto dal Ministero con la soddisfazione, dopo 8 anni, di non aver perso nessuno per strada salvo uno che, come dicevo prima ha ripetuto ed è arrivato al diploma. I risultati degli Esami di Stato confermano il rispetto delle indicazioni, la media delle valutazioni è sempre stata, punto più, punto meno, 80/100 per ogni classe. Abbiamo sempre lavorato per l’inclusione e per valorizzare ognuno secondo le proprie potenzialità, felici per i 100 e i 100 e lode che abbiamo avuto, ma anche per gli studenti che con determinazione ed impegno hanno avuto voti anche inferiori al 70, ma con competenze utili, grazie all’ottimo lavoro svolto dai loro insegnanti che hanno svolto un grandissimo lavoro aiutandoli a superare le difficoltà incontrate. Per la classifica Eduscopio questo conta poco poiché gli indicatori sono altri, ma questa è la nostra impostazione da sempre, le famiglie la apprezzano e la riconoscono, perché è il nostro modo di pensare la scuola. Curiosando nella classifica di Eduscopio trovo sul podio qualche classe con solo una quindicina di studenti arrivati al traguardo e mi chiedo in quanti sono partiti in prima. Selezione? Competizione? È questa la scuola della personalizzazione e dell’inclusione? Quando il Ministro Valditara ha detto che ha voluto la parola “merito” nel senso di permettere ad ognuno di valorizzare le potenzialità che ha.
Quando è iniziato il suo interesse per la quadriennalizzazione del percorso dell’istruzione superiore?
Anni orsono, nella prima tornata, i quadriennali erano sei su tutto il territorio nazionale. Mi ero anche approcciato per capire perché lo Stato, che non è mai stato favorevole ai quadriennali, li avesse autorizzati. Per farlo aveva posto una questione di carattere quantitativo, nel senso che le scuole interessate avevano l’obbligo di far suddividere in quattro anni il totale del monte ore previsto per i quinquennali. Una soluzione che comportava l’obbligo di fare sei ore di lezione ogni mattina, sabato compreso, con due rientri pomeridiani di un paio d’ore e con poveri studenti, stremati, che arrivati a casa dovevano poi svolgere compiti e lezioni per le sei/otto materie del giorno dopo. Una proposta per me insostenibile per uno studente o una studentessa dai 14 ai 18 anni, oltre ad essere non formativo poiché sono del parere che il quattordicenne oltre lo studio, per completare la sua formazione personale è bene che abbia anche spazi per valorizzare altri hobby, altre passioni, attività sportive, uno strumento musicale … e non stare solo sui libri. Ho lasciato perdere.
Che cosa l’ha poi convinto a ripartire?
Quando nove anni fa è uscito il secondo bando che prevedeva l’assenza di vincoli all’orario, anche è evidente che deve comunque essere sufficientemente adeguato a consentire allo studente di acquisire abilità, competenze e conoscenze – che devono essere uguali a quelle previste nei quinquennali – poiché alla fine del percorso dovranno sostenere lo stesso Esame di Stato. Allora mi sono divertito. Uno tra i miei “difetti” è che, come sa, sono da sempre un autonomista convinto, e mi sono divertito perché questa proposta mi ha svincolato dalla predisposta scansione di scadenze dei programmi nazionali, lasciandomi il solo vincolo del profilo in uscita e della preparazione all’Esame finale. Abbiamo, quindi predisposto i programmi del quadriennale, razionalizzando i contenuti iniziando dall’eliminazione dei contenuti “doppioni” che venivano spiegati più volte in discipline diverse. Lei pensi solo a quanti contenuti vengono proposti due volte dai docenti di Diritto e contemporaneamente dai docenti di Economia aziendale in materia societaria. Ci sono tante materie con doppioni. Ho detto ai miei docenti: decidete voi nei dipartimenti, in piena autonomia chi fa la spiegazione fondamentale e chi fa solo collegamenti di applicazione alla propria disciplina. Hanno fatto un ottimo programma razionale, ormai sperimentato, dove non si è tagliato niente e nello stesso tempo si sono liberati dei tempi. Si tenga forte: fatto tutto questo lavoro ci sono avanzate addirittura otto settimane, “la ciliegina sulla torta”, cioè due settimane all’anno, che abbiamo usato, stile learning week, per la settimana della full immersion di inglese oppure dell’arte o ancora nell’inglese commerciale o per potenziare le non cognitive skill come la capacità degli alunni di dotarsi di un’apertura mentale o la coscienziosità, attività che nei quinquennali non si riesce a fare e lei, come docente, lo sa molto bene. Inoltre, ho poi utilizzato le mie originali competenze statistiche e per un anno ho fatto indagine e rilevazioni utilizzando i colloqui con famiglie che dall’esterno venivano a chiedere informazioni da cui è uscito un risultato eclatante: in tutte le scuole quasi la metà delle ore previste dal monte ore annuale è utilizzata per verifiche scritte e orali. Questo mi ha permesso di pensare ad un modello organizzativo che partiva dal recupero non di un anno, ma di mezzo anno scolastico ossia il tempo per spiegare ed esercitare di cui ha bisogno ogni docente, nella pratica 16 settimane. Con due semplici scelte organizzative ho ottenuto la copertura: 8 settimane con il prolungamento dell’anno scolastico di due settimane, una all’inizio e una alla fine dell’anno e utilizzando per una parte dell’attività legata alla Formazione scuola lavoro il periodo dal 15 al 30 giugno. L’obiettivo di dare ai docenti nei quattro anni tutto il tempo necessario per spiegare ed esercitare che avevano nel quinquennale era raggiunto.
Come si riesce a inserire l’ex PCTO, la formazione scuola lavoro in un quadriennale?
Il nostro Istituto ha sempre creduto e crede nelle potenzialità formativa dell’alternanza scuola lavoro, oggi Formazione Scuola Lavoro, e, anche quando non era obbligatoria, gli studenti hanno avuto occasione esperienze per un numero maggiore delle ore oggi obbligatorie sia nei percorsi quinquennali, sia nei percorsi quadriennali. Come detto, nei percorsi quadriennali, nell’equilibrio cercato per lasciare spazio ai docenti per spiegazioni ed esercitazioni, si svolge nel periodo 15-30 giugno.
Qual è la conclusione?
Ritengo che complessivamente abbiamo costruito un modello di sistema: programmi svolti completamente, quadro orario accessibile con sabato libero, normale divisione mattina/pomeriggio lasciando il normale tempo per il lavoro domestico, possibilità di seguire il percorso anche da studenti certificati DSA, come già detto studenti motivati e corresponsabili con buoni risultati agli esami di Stato. Un modello di sistema che si può replicare in qualsiasi scuola, se i docenti ne condividono la filosofia e vi si dedicano con passione.
Ma tutto questo lavoro per consentire agli studenti di uscire dal percorso d’istruzione a 18 anni invece che a 19. Ma ne vale davvero la pena?
Quanto vale un anno di vita? Il percorso quadriennale ti permette di guadagnarlo. Credo ne valga la pena. Colgo l’occasione per evidenziare un problema che non credo solo del nostro Istituto. L’ultima maturità ha avuto un risultato inferiore alle precedenti, pur buona, con una media di classe pari a 78. Questo risultato dipende moltissimo dalla demotivazione di alunni molto performanti che a causa di una disposizione che permette agli studenti, superati i test, di iscriversi all’università prima che abbiano sostenuto l’Esame di Stato e indipendentemente dalla valutazione ottenuta. Per gli studenti è un messaggio sbagliato perché considerano inutile la valutazione dell’Esame e la fatica e l’impegno indispensabile per ottenerne uno migliore. Credo sarebbe opportuna una norma regolatrice che ridia al risultato dell’Esame di Stato il giusto peso e il giusto valore.
Qualcuno ha sollevato il dubbio che gli studenti che si diplomano al quadriennale non possano andare all’università senza frequentare un ulteriore anno integrativo.
Sostanzialmente è una fake news. Avendo già fatto sostenere tre maturità con studenti che hanno potuto iscriversi a tutte le Università italiane e straniere, anche le più titolate superando anche test o application, ne ho la verifica concreta. Il bando inoltre parla chiaro. L’Esame di Stato è unico ed uguale per percorsi quadriennali e quinquennali e questo è il motivo che mi ha convinto a partecipare: la garanzia che lo studente di un percorso quadriennale avrebbe conseguito un titolo perfettamente uguale al diploma quinquennale, non togliendo, quindi, alcuna opportunità agli studenti. Può esserci forse qualche confusione con percorsi professionali i cui percorsi, già oggi prevedono un quinto anno utile per potersi iscrivere all’università, ma questo non ha niente a che vedere con i percorsi quadriennali previsti dal bando.
Come hanno risposto i suoi docenti?
I docenti sono il fulcro del successo di qualsiasi innovazione. Coinvolti, hanno condiviso con convinzione la scelta ed hanno contribuito alla stesura del quadro orario studiato affinché prevedesse le giuste ore di insegnamento per raggiungere gli obiettivi.
È in ogni caso innegabile che un bel po’ di ore di lezione e quindi di lavoro si siano persi, ciò che giustifica la presa di posizione di molti docenti e sindacati che temono di vedere nell’avvento dei quadriennali una sostanziale riduzione dei posti di lavoro.
Capisco, è un problema di scelte. Di fatto, da sempre al centro del sistema a parole c’è lo studente, ma nei fatti ci sono i docenti e il problema occupazionale. Già all’inizio degli anni 2000 il modello presentato dal professor Bertagna, durante il Ministero Moratti, prevedeva 12 anni di istruzione per conseguire il diploma, per questo motivo, non fu approvato. Ritengo che oggi, in un momento storico in cui nei prossimi anni, a causa della denatalità, avremo ogni anno circa centomila studenti in meno e che quindi perderemo più di un milione di studenti in 10 anni, occorrerebbe cogliere l’occasione per una grande rivoluzione di sistema. Occorre avere il coraggio e la saggezza di ridurre anche il numero complessivo di docenti, senza ridurre lo stanziamento previsto per la scuola ed utilizzare questo surplus economico sia per formare altre figure professionali, come già fatto per il tutor orientatore per avere un miglioramento negli apprendimenti e risalire la china delle graduatorie internazionali, sia per aumentare le retribuzioni, come merita una professione con una responsabilità così importante come la crescita e la formazione dei nostri giovani, che ricordo sono il futuro di un paese.
Quindi ammette che ci s’immagina una contrazione dei posti di lavoro. È così?
Come detto credo sarà inevitabile. Occorre però non ridurre le risorse stanziate in bilancio per la scuola per investire nella modernizzazione del sistema, dare le giuste risposte alle attese di studenti e famiglie e, per inciso, migliorare la remunerazione dei docenti.
Altrimenti?
Se invece, nonostante i centomila studenti in meno ogni anno, si aumenta il numero dei docenti, come sembra sia accaduto nel corrente anno scolastico, premiando lo statalismo che serve a solo a mantenere un posto di lavoro, il nostro sistema sarà destinato al declino a danno delle future generazioni. Per quel che mi riguarda, la maggior flessibilità che permette l’organizzazione di una scuola paritaria mi ha permesso di non ridurre mai il personale ed integrare l’orario con incarichi in altri ordini di studi presenti nell’Istituto.
Ammetterà che le pressioni sindacali sono giustificate
Posso comprendere certe motivazioni sociali e che il sindacato debba preoccuparsi della situazione per trovare una soluzione, ma in questo momento storico, che vedrà anche la rivoluzione portata dall’intelligenza artificiale, credo che occorra usare saggezza ed avere una vision strategica diversa che non può limitarsi al mantenimento del posto di lavoro. Creare situazioni od opposizioni perché i quadriennali non decollino nel nostro Paese bloccando l’allineamento con il resto del mondo vuol dire penalizzare i nostri giovani e il loro futuro. Favoriamo la nascita di nuovi quadriennali, pretendiamo progetti migliori, chiediamo che siano più performanti, aiutiamoli per la formazione dei loro docenti anche sulle nuove competenze che chiede l’autonomia di programmazione e la valutazione, ma facciamoli decollare.
Paesi con più di 12 anni di istruzione per il diploma universitario
Elaborazione di Pasolini
🇪🇺 Europa
| Paese | Anni totali | Note |
| Italia | 13 | 5 primaria + 3 secondaria di I grado + 5 secondaria di II grado |
| Germania | 12–13 | Varia per Land, molti Gymnasium durano 13 anni |
| Malta | 13 | Sixth Form obbligatoria dopo la secondaria |
| Regno Unito | 13 | GCSE + 2 anni A-level (Year 13) |
| Lussemburgo | 12–13 | Alcuni percorsi per l’accesso all’università arrivano a 13 anni |
🇺🇸 Americhe
| Paese | Anni totali | Note |
| Giamaica | 13 | 5 anni secondaria + 2 anni Sixth Form |
| Trinidad e Tobago | 13 | Modello britannico A-level |
| Barbados | 13 | Modello britannico A-level |
| Altri Paesi caraibici | 13 | Dominica, Saint Lucia, Saint Vincent, ecc. |
La maggior parte di Nord e Sud America ha 12 anni standard, quindi queste eccezioni sono legate al modello britannico.
🇦🇸 Asia
| Paese | Anni totali | Note |
| Singapore | 14 | 6 primaria + 4 secondaria + 2 Junior College (A-level) |
| India | 12–13 | Alcuni Stati richiedono 1 anno pre-universitario opzionale |
| Nepal | 12–13 | Percorso + Higher Secondary opzionale |




















