Indice
INTRODUZIONE
Editoriale di Filomena Zamboli
PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA
La scuola che fa grandi. Don Milani a Barbiana
La lezione di Don Milani. Esclusi di oggi, cittadini di domani
La radicalità del tema della povertà educativa
L'attualità di Don Milani
L’attualità dell’I Care
Perché “il rischio educativo” di Don Giussani può ancora salvare la scuola?
PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO
Dai docenti al territorio. La leadership del ds.
Cittadinanza Digitale e Nuove Emergenze Educative
A scuola di intelligenza artificiale: le domande alla base di un sapere tecnico
Attualità di Don Milani. L’educazione morale emerge dalla ricerca della verità
PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO
Costruire la Comunità professionale leadership per lo sviluppo organizzativo tra Innovazione e Complessità
Valorizzare le risorse nel processo di innovazione
Leadership e Sviluppo organizzativo: dal Politecnico all’istituto Comprensivo Montecchio
Don Lorenzo Milani: un fuoco sempre acceso
Una Scuola parentale sui generis
PARTE IV - NORMATIVA
L’autonomia scolastica come opera. Lavori in corso.
Editoriale
Questo numero della Rivista nasce, come indica il titolo, dal desiderio di mettere a fuoco molteplici riflessioni che animano il dibattito contemporaneo intorno alla scuola e una serie di fattori che caratterizzano il suo ambito proprio, la sua missione, ovvero l’educazione.
Siamo nel tempo del confronto con i numeri preoccupanti che raccontano la povertà educativa e la dispersione implicita che essa genera; ovvero nel tempo della Cittadinanza e dell’Intelligenza artificiale, un tempo immersivo per giovani e adulti: ci siamo persi i genitori, mentre la famiglia è una entità che non partorisce più figli non genera più adulti responsabili, né siete di futuro.
È, ancora, il tempo in cui l’emergenza sociale ha i connotati di una guerra singolare: la scuola rappresenta un avanposto, una trincea perenne. È il tempo nel quale l’autonomia differenziata sembra accentuare divisioni, invece di agevolare una sussidiarietà che intacchi una immobile visione statalista. È il tempo in cui gli adulti sembrano preoccupati di ricercare una responsabilità educativa sempre di altri, mai propria.
Eppure, in questo tempo così affaticato, “personalità” responsabili emergono e raccontano storie di educazione generativa.
Lo scopo, pertanto, di questo numero, non è ripensare – sic et simpliciter – l’esperienza educativa di persone straordinarie con un atteggiamento nostalgico e un tono di rimpianto, ma – come afferma il Prof. Fiorin – riaccendere un fuoco, perché ci interessa ancora la scuola.
I lettori – Dirigenti scolastici e non solo – ci lascino usare metaforicamente l’ampiezza del verbo interessare per ritrovare il filo rosso che allacci riflessioni a supporto del vivere a scuola insieme ai propri studenti.
Innanzitutto, bisogna minare alla base l’idea, che ha zavorrato la scuola verso il basso, che l’uguaglianza sia neutralità, che ciò che è neutro possa incontrare tutti.
La scuola è il luogo fisico – non teorico – dove si può essere veramente accolti: ciascuno, mentre insegna e mentre impara, nella consapevolezza che questa dinamica non corrisponde più solo a una traditio di passaggio generazionale. Infatti, la “scuola funzionalistica”, concepita come risposta alle esigenze di progresso, come azione di sviluppo di competenze proprie di ciascun individuo, ha portato a focalizzare l’interesse solo su un miglioramento di strutture e di servizi “della convinzione che ciò avrebbe automaticamente accresciuto sia i livelli di conoscenza, sia la consapevolezza etico-critica, esito di una buona educazione” (G. Chiosso).
È del tutto evidente come l’aver sottovalutato il peso del retroterra valoriale e la forza della relazione interpersonale ha determinato uno spostamento su ciò che funziona piuttosto che su ciò che educa. Tant’è che oggi l’accento è tutto posto sull’affanno delle competenze educative, sulla nuova (ma tardiva) attenzione alla natalità, sulla riqualificazione delle periferie, poiché la povertà educativa è “legata in modo ineludibile ai contesti sociali”. Sono interessanti le suggestioni di Marco Iasevoli quando pone l’accento sulla comunità che educa, perché se la comunità scompare, se i pilastri della comunità vengono delegittimati, l’educazione diventa impresa eroica di singoli.
E andiamo a Barbiana: un luogo di educazione in cui emerge una scuola impegnata, compromessa con la realtà, una scuola che serve alla vita, perché aiuta, introduce alla realtà e quindi genera domande e stupore. Non esiste una scuola di centro o di periferia: c’è una scuola come luogo dove accadono le persone e dove gli adulti maggiormente consapevoli sono quelli che non hanno rinunciato a una specifica vocazione all’insegnamento.
Per questo – afferma il Prof. Nicoli – don Milani ci ispira sulla questione di fondo: “come far scaturire una profonda passione educativa, chiamando i docenti a far parte di un’avventura comune, così tanto convinti dell’intelligenza nascosta dei propri alunni, da abbandonare la difesa dei confini della propria classe, della propria materia”.
È interessante, per il Dirigente scolastico, questa prospettiva: porsi sul piano non della pura e semplice innovazione, ma su quello della convocazione. Una dimensione di Scuola in cui come comunità – si possa agire insieme perché, ogni mattina, si è convocati a collaborare a un’opera educativa comune di cui il mondo ha bisogno per salvarsi.
Val la pena riportare la nota affermazione di don Milani: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda. Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”. La scuola come fattore di costruzione sociale che pretende una consapevolezza collettiva – di comunità – che però non nasce a priori solo perché la si dichiara tale: una scuola non appiattita sulle didattiche, sebbene innovative, ma centrata sulla persona, la cui cura, il cui sviluppo si afferma anche attraverso lo studio delle discipline. Una scuola come opera, tema sul quale si innestano le riflessioni della Prof.ssa Poggi sull’autonomia differenziata, o quelle del Prof. Rivoltella sulla scuola dei media, perché scuola contemporanea.
Insomma un numero ricco di suggestioni, di testimoni e di testimonianze, per aiutarci nel lavoro che più ci appassiona, quello della costruzione della nostra scuola come opera sociale, con uno sguardo pieno e ampio che le parole di Papa Francesco descrivono senza equivoci: “non si può cambiare il mondo se non cambiamo l’educazione”.
Indice
INTRODUZIONE
Editoriale di Filomena Zamboli
PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA
La scuola che fa grandi. Don Milani a Barbiana
La lezione di Don Milani. Esclusi di oggi, cittadini di domani
La radicalità del tema della povertà educativa
L'attualità di Don Milani
L’attualità dell’I Care
Perché “il rischio educativo” di Don Giussani può ancora salvare la scuola?
PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO
Dai docenti al territorio. La leadership del ds.
Cittadinanza Digitale e Nuove Emergenze Educative
A scuola di intelligenza artificiale: le domande alla base di un sapere tecnico
Attualità di Don Milani. L’educazione morale emerge dalla ricerca della verità
PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO
Costruire la Comunità professionale leadership per lo sviluppo organizzativo tra Innovazione e Complessità
Valorizzare le risorse nel processo di innovazione
Leadership e Sviluppo organizzativo: dal Politecnico all’istituto Comprensivo Montecchio
Don Lorenzo Milani: un fuoco sempre acceso
Una Scuola parentale sui generis
PARTE IV - NORMATIVA
L’autonomia scolastica come opera. Lavori in corso.
Editoriale
Questo numero della Rivista nasce, come indica il titolo, dal desiderio di mettere a fuoco molteplici riflessioni che animano il dibattito contemporaneo intorno alla scuola e una serie di fattori che caratterizzano il suo ambito proprio, la sua missione, ovvero l’educazione.
Siamo nel tempo del confronto con i numeri preoccupanti che raccontano la povertà educativa e la dispersione implicita che essa genera; ovvero nel tempo della Cittadinanza e dell’Intelligenza artificiale, un tempo immersivo per giovani e adulti: ci siamo persi i genitori, mentre la famiglia è una entità che non partorisce più figli non genera più adulti responsabili, né siete di futuro.
È, ancora, il tempo in cui l’emergenza sociale ha i connotati di una guerra singolare: la scuola rappresenta un avanposto, una trincea perenne. È il tempo nel quale l’autonomia differenziata sembra accentuare divisioni, invece di agevolare una sussidiarietà che intacchi una immobile visione statalista. È il tempo in cui gli adulti sembrano preoccupati di ricercare una responsabilità educativa sempre di altri, mai propria.
Eppure, in questo tempo così affaticato, “personalità” responsabili emergono e raccontano storie di educazione generativa.
Lo scopo, pertanto, di questo numero, non è ripensare – sic et simpliciter – l’esperienza educativa di persone straordinarie con un atteggiamento nostalgico e un tono di rimpianto, ma – come afferma il Prof. Fiorin – riaccendere un fuoco, perché ci interessa ancora la scuola.
I lettori – Dirigenti scolastici e non solo – ci lascino usare metaforicamente l’ampiezza del verbo interessare per ritrovare il filo rosso che allacci riflessioni a supporto del vivere a scuola insieme ai propri studenti.
Innanzitutto, bisogna minare alla base l’idea, che ha zavorrato la scuola verso il basso, che l’uguaglianza sia neutralità, che ciò che è neutro possa incontrare tutti.
La scuola è il luogo fisico – non teorico – dove si può essere veramente accolti: ciascuno, mentre insegna e mentre impara, nella consapevolezza che questa dinamica non corrisponde più solo a una traditio di passaggio generazionale. Infatti, la “scuola funzionalistica”, concepita come risposta alle esigenze di progresso, come azione di sviluppo di competenze proprie di ciascun individuo, ha portato a focalizzare l’interesse solo su un miglioramento di strutture e di servizi “della convinzione che ciò avrebbe automaticamente accresciuto sia i livelli di conoscenza, sia la consapevolezza etico-critica, esito di una buona educazione” (G. Chiosso).
È del tutto evidente come l’aver sottovalutato il peso del retroterra valoriale e la forza della relazione interpersonale ha determinato uno spostamento su ciò che funziona piuttosto che su ciò che educa. Tant’è che oggi l’accento è tutto posto sull’affanno delle competenze educative, sulla nuova (ma tardiva) attenzione alla natalità, sulla riqualificazione delle periferie, poiché la povertà educativa è “legata in modo ineludibile ai contesti sociali”. Sono interessanti le suggestioni di Marco Iasevoli quando pone l’accento sulla comunità che educa, perché se la comunità scompare, se i pilastri della comunità vengono delegittimati, l’educazione diventa impresa eroica di singoli.
E andiamo a Barbiana: un luogo di educazione in cui emerge una scuola impegnata, compromessa con la realtà, una scuola che serve alla vita, perché aiuta, introduce alla realtà e quindi genera domande e stupore. Non esiste una scuola di centro o di periferia: c’è una scuola come luogo dove accadono le persone e dove gli adulti maggiormente consapevoli sono quelli che non hanno rinunciato a una specifica vocazione all’insegnamento.
Per questo – afferma il Prof. Nicoli – don Milani ci ispira sulla questione di fondo: “come far scaturire una profonda passione educativa, chiamando i docenti a far parte di un’avventura comune, così tanto convinti dell’intelligenza nascosta dei propri alunni, da abbandonare la difesa dei confini della propria classe, della propria materia”.
È interessante, per il Dirigente scolastico, questa prospettiva: porsi sul piano non della pura e semplice innovazione, ma su quello della convocazione. Una dimensione di Scuola in cui come comunità – si possa agire insieme perché, ogni mattina, si è convocati a collaborare a un’opera educativa comune di cui il mondo ha bisogno per salvarsi.
Val la pena riportare la nota affermazione di don Milani: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda. Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”. La scuola come fattore di costruzione sociale che pretende una consapevolezza collettiva – di comunità – che però non nasce a priori solo perché la si dichiara tale: una scuola non appiattita sulle didattiche, sebbene innovative, ma centrata sulla persona, la cui cura, il cui sviluppo si afferma anche attraverso lo studio delle discipline. Una scuola come opera, tema sul quale si innestano le riflessioni della Prof.ssa Poggi sull’autonomia differenziata, o quelle del Prof. Rivoltella sulla scuola dei media, perché scuola contemporanea.
Insomma un numero ricco di suggestioni, di testimoni e di testimonianze, per aiutarci nel lavoro che più ci appassiona, quello della costruzione della nostra scuola come opera sociale, con uno sguardo pieno e ampio che le parole di Papa Francesco descrivono senza equivoci: “non si può cambiare il mondo se non cambiamo l’educazione”.