Indice

INTRODUZIONE

Editoriale di Roberto Pellegatta

PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA

Per cambiare occorrono visioni e coraggio di Vincenzo Perrone

L’esperienza della novità e la lotta alla noia, per rispondere ai bisogni formativi degli alunni Dialogo a distanza tra Eraldo Affinati ed Anna M. Mariani

Il rischio di educare e i cambiamenti in atto. Qualche riflessione sul futuro della scuola di Giorgio Chiosso

La società delle competenze interpella la scuola. Il manifesto dell’innovazione educativa di Francesco Pedrò

Il cambiamento chiede “strategie”: come dirigere l’autonomia di Angelo Paletta

PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO

Tecnologie e spazi per una scuola viva di Pier Cesare Rivoltella

Innovare il sistema: l’autonomia presa sul serio. Una proposta di legge dell’ADI Associazione Docenti Italiani

Dalla classe alla disciplina: la proposta del Gruppo di Firenze di Andrea Ragazzini

PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO

Rendicontazione sociale: in Friuli una rete di scuole la sperimenta di Maddalena Venzo e Luella Gulglielmin

Alternanza e innovazione: progettare la scuola che verrà di Matteo Foppa Pedretti

Alternanza e innovazione: italiano per stranieri nelle sperimentazioni Penny Wirton di Ludovico Arte - Gianni Orecchioni

Una leadership per l’innovazione della scuola: modelli efficaci per la formazione dei dirigenti scolastici di Chiara Giunti

Gestione strategica nell’organizzare le attività della scuola di Roberto Fraccia

PARTE IV - NORMATIVA

L’attività negoziale delle scuole dopo il D.M. 129/2018 di Francesco Bragagni – Marco Esposito

Autonomia regionale differenziata, scuola e Costituzione di Giuseppe Cosentino

Dal contratto al progetto del governo giallo-verde: un sistema irriformabile? di Giovanni Cominelli

Editoriale

C’è stato un tempo nel quale cambiare era slogan gridato, se non dogma pedagogico. È venuto poi il tempo nel quale innovare è divenuto moda da rincorrere in tecniche, tecnologie, forme e accorgimenti. Di converso alcuni cambiamenti o forti innovazioni hanno invece suscitato resistenze o rifiuti, come è accaduto con la riforma dei cicli all’epoca Moratti, o nel caso recente dell’alternanza scuola-lavoro contestata persino dai giovani nelle piazze.

Resta il fatto che nulla più dei processi di innovazione e cambiamento è divenuto tema costante del dibattito internazionale sulla scuola (Pedrò). Innovazione e cambiamento sono indispensabili processi con i quali non solo nella scuola si stanno facendo i conti per trovare un proprio ragionevole futuro.

Ma questi processi non sono senza traumi: di fronte alle esigenze di cambiamento non è difficile constatare la distanza profonda tra l’offerta formativa e la domanda di istruzione e formazione (Mariani e Pedrò). I segnali di questa, spesso drammatici, si moltiplicano e vengono enfatizzati dai media.

Quello più serio, nella sfera dell’esperienza personale tra piccoli e giovani, resta la noia, la caduta di motivazioni allo studio, tanto dichiarate in indagini e resoconti. Ed è paradossale che questo accada proprio in anni nei quali si sono messi in atto tentativi e strategie proprio … per far “stare bene a scuola”.

A fronte di questa distanza occorre riconoscere che in tante scuole, da tempo, cambiamento e innovazione sono divenuti esigenza e movimento reale per intercettare i mutamenti della domanda formativa e sociale e tentare risposte e buone pratiche, talora seriamente sperimentate, per poi, con coraggio, riflettervi criticamente e quindi di nuovo cambiare.

Tuttavia in questo impegno diffuso spesso sembra di perdere di vista la meta e quindi la visione complessiva (quando la si ha…) capace di dare direzione ai vari tentativi: perché cambiare ? innovare ? a quali esigenze dare priorità ? chi sono i protagonisti del cambiamento ? a quali esigenze di cambiamento dare effettivamente ascolto ? quando il mutamento di una forma tradizionale realizza effettivamente novità ? come non lasciarsi trascinare solo da mode o novità solo apparenti (Chiosso) ?

Persino i governi e gli organismi internazionali mostrano spesso di non saper inquadrare e delineare con chiarezza gli esiti delle innovazioni avviate, delle riforme introdotte (Pedrò): l’esempio più clamoroso resta il nostro contesto nazionale, dove si sono succedute “riforme” a ritmo estenuante, ma dove raramente si è riusciti a rilevarne criticamente gli effetti.

La crisi attuale della scuola non è più solo di metodo o contenuti, ma degli stessi fondamenti, in un clima di confusione valoriale, di decostruzione sociale.

Mentre nelle scuole febbrilmente si cercano percorsi, strategie nuove, perché “ogni giorno negli istituti scolastici scorre come un fiume in piena la coscienza critica del Paese, si formano i futuri cittadini, si diventa adulti, si rinsalda la tradizione, si gettano le basi per il futuro” (Affinati).

È un ribollire sorto dopo le norme (dimenticate) per l’autonomia scolastica. Se l’autonomia è sparita dal dibattito istituzionale e culturale dei grandi cambiamenti (come documentavamo nello scorso numero della rivista e come si può persino verificare nel dibattito attuale sull’autonomia decentrata) (Cosentino), non è sparita come opportunità di azione in tante scuole, che hanno continuato a usare le poche possibilità esistenti o magari ne hanno forzato gli spazi proprio nel tentativo di cambiare, per tentare un servizio reale alle proprie comunità locali, alle famiglie, ultimamente ai propri ragazzi e ragazze.

È stato il D.P.R. 275/1999 (Regolamento dell’autonomia) – che l’8 marzo compiva vent’anni – a dare alle scuole la facoltà di gestire margini di autonomia organizzativa, didattica e curricolare. Da allora, eliminata la prescrittività dei programmi, le Indicazioni Nazionali hanno dato ai docenti la possibilità di rivedere i traguardi di conoscenze e competenze da raggiungere alla fine del percorso formativo, anche se nel frattempo i fondi per l’autonomia proprio dal 1999 in poi si sono drasticamente ridotti.

Ma allora come far si che il cambiamento a scuola non resti in superficie (Mariani), o solo sui POF o nei lustrini dei siti internet ? Quali segnali aiutano ad auto-comprendere che l’innovazione percorsa è stata risposta reale ai bisogni formativi e non superficiale e gridato ossequio alla moda ?

Questo numero vuole tentare di offrire strumenti di riflessione e suggestioni a percorsi (Perrone) reali di cambiamento, offrendo una prospettiva interessante: la novità non è opera eroica del singolo, ma è frutto comunitario di un ambiente, di agenzie educative cooperanti (Affinati), di una “comunità educante” non in quanto dichiarata in contratti o premesse, ma praticata da “adulti-adulti” (Mariani) consapevoli di aver bisogno gli uni degli altri.

Burocrazia e morse sindacali sembrano ogni giorno ostacolare questa impresa, specie in chi dirige una scuola, imprigionato ogni giorno nell’ “eseguire il mansionario”. Ma “gli spiriti più inventivi sanno come liberarsene. A tutto vantaggio di chi lavora con loro” (Affinati). E la scuola ha bisogno di questi spiriti liberi.

Non si tratta allora né solo di intraprendere un cambiamento né di invocare una restaurazione. Bisogna re-inventare la scuola (Ribolzi), in un laboratorio permanente di innovazione, coniugando rigore e creatività, in un continuo imparare facendo.

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INTRODUZIONE

Editoriale di Roberto Pellegatta

PARTE I - IL QUADRO DEL PROBLEMA

Per cambiare occorrono visioni e coraggio di Vincenzo Perrone

L’esperienza della novità e la lotta alla noia, per rispondere ai bisogni formativi degli alunni Dialogo a distanza tra Eraldo Affinati ed Anna M. Mariani

Il rischio di educare e i cambiamenti in atto. Qualche riflessione sul futuro della scuola di Giorgio Chiosso

La società delle competenze interpella la scuola. Il manifesto dell’innovazione educativa di Francesco Pedrò

Il cambiamento chiede “strategie”: come dirigere l’autonomia di Angelo Paletta

PARTE II - TESSERE DEL MOSAICO

Tecnologie e spazi per una scuola viva di Pier Cesare Rivoltella

Innovare il sistema: l’autonomia presa sul serio. Una proposta di legge dell’ADI Associazione Docenti Italiani

Dalla classe alla disciplina: la proposta del Gruppo di Firenze di Andrea Ragazzini

PARTE III - ESPERIENZE A CONFRONTO

Rendicontazione sociale: in Friuli una rete di scuole la sperimenta di Maddalena Venzo e Luella Gulglielmin

Alternanza e innovazione: progettare la scuola che verrà di Matteo Foppa Pedretti

Alternanza e innovazione: italiano per stranieri nelle sperimentazioni Penny Wirton di Ludovico Arte - Gianni Orecchioni

Una leadership per l’innovazione della scuola: modelli efficaci per la formazione dei dirigenti scolastici di Chiara Giunti

Gestione strategica nell’organizzare le attività della scuola di Roberto Fraccia

PARTE IV - NORMATIVA

L’attività negoziale delle scuole dopo il D.M. 129/2018 di Francesco Bragagni – Marco Esposito

Autonomia regionale differenziata, scuola e Costituzione di Giuseppe Cosentino

Dal contratto al progetto del governo giallo-verde: un sistema irriformabile? di Giovanni Cominelli

Editoriale

C’è stato un tempo nel quale cambiare era slogan gridato, se non dogma pedagogico. È venuto poi il tempo nel quale innovare è divenuto moda da rincorrere in tecniche, tecnologie, forme e accorgimenti. Di converso alcuni cambiamenti o forti innovazioni hanno invece suscitato resistenze o rifiuti, come è accaduto con la riforma dei cicli all’epoca Moratti, o nel caso recente dell’alternanza scuola-lavoro contestata persino dai giovani nelle piazze.

Resta il fatto che nulla più dei processi di innovazione e cambiamento è divenuto tema costante del dibattito internazionale sulla scuola (Pedrò). Innovazione e cambiamento sono indispensabili processi con i quali non solo nella scuola si stanno facendo i conti per trovare un proprio ragionevole futuro.

Ma questi processi non sono senza traumi: di fronte alle esigenze di cambiamento non è difficile constatare la distanza profonda tra l’offerta formativa e la domanda di istruzione e formazione (Mariani e Pedrò). I segnali di questa, spesso drammatici, si moltiplicano e vengono enfatizzati dai media.

Quello più serio, nella sfera dell’esperienza personale tra piccoli e giovani, resta la noia, la caduta di motivazioni allo studio, tanto dichiarate in indagini e resoconti. Ed è paradossale che questo accada proprio in anni nei quali si sono messi in atto tentativi e strategie proprio … per far “stare bene a scuola”.

A fronte di questa distanza occorre riconoscere che in tante scuole, da tempo, cambiamento e innovazione sono divenuti esigenza e movimento reale per intercettare i mutamenti della domanda formativa e sociale e tentare risposte e buone pratiche, talora seriamente sperimentate, per poi, con coraggio, riflettervi criticamente e quindi di nuovo cambiare.

Tuttavia in questo impegno diffuso spesso sembra di perdere di vista la meta e quindi la visione complessiva (quando la si ha…) capace di dare direzione ai vari tentativi: perché cambiare ? innovare ? a quali esigenze dare priorità ? chi sono i protagonisti del cambiamento ? a quali esigenze di cambiamento dare effettivamente ascolto ? quando il mutamento di una forma tradizionale realizza effettivamente novità ? come non lasciarsi trascinare solo da mode o novità solo apparenti (Chiosso) ?

Persino i governi e gli organismi internazionali mostrano spesso di non saper inquadrare e delineare con chiarezza gli esiti delle innovazioni avviate, delle riforme introdotte (Pedrò): l’esempio più clamoroso resta il nostro contesto nazionale, dove si sono succedute “riforme” a ritmo estenuante, ma dove raramente si è riusciti a rilevarne criticamente gli effetti.

La crisi attuale della scuola non è più solo di metodo o contenuti, ma degli stessi fondamenti, in un clima di confusione valoriale, di decostruzione sociale.

Mentre nelle scuole febbrilmente si cercano percorsi, strategie nuove, perché “ogni giorno negli istituti scolastici scorre come un fiume in piena la coscienza critica del Paese, si formano i futuri cittadini, si diventa adulti, si rinsalda la tradizione, si gettano le basi per il futuro” (Affinati).

È un ribollire sorto dopo le norme (dimenticate) per l’autonomia scolastica. Se l’autonomia è sparita dal dibattito istituzionale e culturale dei grandi cambiamenti (come documentavamo nello scorso numero della rivista e come si può persino verificare nel dibattito attuale sull’autonomia decentrata) (Cosentino), non è sparita come opportunità di azione in tante scuole, che hanno continuato a usare le poche possibilità esistenti o magari ne hanno forzato gli spazi proprio nel tentativo di cambiare, per tentare un servizio reale alle proprie comunità locali, alle famiglie, ultimamente ai propri ragazzi e ragazze.

È stato il D.P.R. 275/1999 (Regolamento dell’autonomia) – che l’8 marzo compiva vent’anni – a dare alle scuole la facoltà di gestire margini di autonomia organizzativa, didattica e curricolare. Da allora, eliminata la prescrittività dei programmi, le Indicazioni Nazionali hanno dato ai docenti la possibilità di rivedere i traguardi di conoscenze e competenze da raggiungere alla fine del percorso formativo, anche se nel frattempo i fondi per l’autonomia proprio dal 1999 in poi si sono drasticamente ridotti.

Ma allora come far si che il cambiamento a scuola non resti in superficie (Mariani), o solo sui POF o nei lustrini dei siti internet ? Quali segnali aiutano ad auto-comprendere che l’innovazione percorsa è stata risposta reale ai bisogni formativi e non superficiale e gridato ossequio alla moda ?

Questo numero vuole tentare di offrire strumenti di riflessione e suggestioni a percorsi (Perrone) reali di cambiamento, offrendo una prospettiva interessante: la novità non è opera eroica del singolo, ma è frutto comunitario di un ambiente, di agenzie educative cooperanti (Affinati), di una “comunità educante” non in quanto dichiarata in contratti o premesse, ma praticata da “adulti-adulti” (Mariani) consapevoli di aver bisogno gli uni degli altri.

Burocrazia e morse sindacali sembrano ogni giorno ostacolare questa impresa, specie in chi dirige una scuola, imprigionato ogni giorno nell’ “eseguire il mansionario”. Ma “gli spiriti più inventivi sanno come liberarsene. A tutto vantaggio di chi lavora con loro” (Affinati). E la scuola ha bisogno di questi spiriti liberi.

Non si tratta allora né solo di intraprendere un cambiamento né di invocare una restaurazione. Bisogna re-inventare la scuola (Ribolzi), in un laboratorio permanente di innovazione, coniugando rigore e creatività, in un continuo imparare facendo.