Pubblicato il 16 Maggio 2025.

Fonte: Sussidiario.net

Articolo di Filomena Zamboli

La scuola ha bisogno di nuove visioni: la libertà, se educata, crea protagonisti. L’esempio del liceo Ernesto Pascal di Pompei

L’occhio attento torna indietro a un anno di lavoro. È naturale, quando si arriva al termine di una lunga corsa che ha attraversato mesi di lavoro che, apparentemente, hanno le stesse cadenze di sempre. Invece ogni anno fa storia a sé, ed è pieno di saggezza, se ci si ferma a riflettere su processi e avvenimenti.

Per dirigere una scuola oggi più di prima occorrono un continuo e appassionato confronto sui processi educativo-didattici, nuove visioni e il rilancio di una prospettiva culturale. Al nostro Paese servono scuole nelle quali ciò che accade al proprio interno diventi “opera” e non solo “istruzione”, vite protagoniste del proprio sapere. Dalla prospettiva di chi scrive, emerge con nettezza che il futuro chiede la compartecipazione dei ragazzi alla costruzione della comunità, dell’opera educativa.

Certo attraverso la trasversalità delle discipline come linguaggi che decodificano la realtà intera e piena di bellezza. Ma anche come didattica alternativa fatta di spazi diversi, dove il fuori ha lo stesso valore delle “sudate carte”. Insomma la collegialità come un modo e un luogo dove si legge insieme la realtà educativa. Perché questo accada bisogna mettersi al servizio dei ragazzi. Troppo a lungo abbiamo pensato che il rapporto fosse solo con la loro testa, con ciò che dovevamo garantire in termini di apprendimento, e non con la loro persona. Ne sono testimonianza i mille disagi relazionali che vivono e per affrontare i quali occorre una alleanza.

La scuola deve riflettere sul “come” di un rapporto che si sostanzia in azioni con il contributo di tutti, specialmente dei giovani. Lo scorso anno sono stati eletti come rappresentanti degli studenti quattro ragazzi in gamba, con tanta voglia di fare. Avrebbero voluto tirare giù il mondo.

A modo loro. E io avrei anche voluto lasciarli fare, se non avessi dovuto combattere con le norme sulla sicurezza, per esempio, oppure con il numero di docenti e collaboratori a disposizione se volevano restare a scuola anche oltre l’orario previsto, che, per fortuna, da noi è già lungo. Perché le aule si puliscono, e gli alunni si vigilano. Desideravano creare una biblioteca, solo che spazio non ce n’era.

Qualche “no” ho dovuto dirlo. Non è stato facile. Non sono stati facili i rapporti. Devi metterti a discutere. D’altra parte non pareva vero che, invece di essere passivi e annoiati, desiderassero creare un’opera. Stare a scuola quando, invece, non si vede l’ora che suoni la campanella.

Non ho spazio, qui, per raccontarvi come abbiamo sudato, la scorsa estate, per svuotare un container che era servito, al tempo del Covid, per riporre arredi e suppellettili. Come abbiamo ripulito e sistemato un pezzo di giardino. Cercato arredi da esterno. Sistemato e catalogato libri riposti nello scantinato. Ragazzi e adulti. Associazioni e volontariato. Soggetti diversi che il desiderio ha trasformato in protagonisti. Noi.

Pochi giorni fa abbiamo inaugurato uno spazio outdoor dove è possibile trovarsi per sentire musica senza disturbare, leggere, chiacchierare senza cellulare. Un container ridipinto è diventato una biblioteca, dedicata alla Contessa Marianna de Fusco, moglie di Bartolo Longo, tra poco santo. Un luogo “democratico”, con tanto di regolamento, la cui responsabilità è collettiva. Sono venuti a inaugurarlo il sindaco, l’arcivescovo e una sacco di genitori. Un luogo fuori dalla scuola dove si fa scuola. Una scuola che ha scelto di istruire e servire. Tecnicamente questa cosa si chiama Service Learning. Oppure vita. Fate voi.

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