Fonte: IL sussudiario.net
Articolo di Maria Grazia Fornaroli
Ancora sul rifiuto degli orali di maturità il contrubuto di una socia DiSAL.
Il clamore generato dalla scelta di alcuni studenti di rinunciare a rispondere alle domande degli esaminatori all’orale dell’esame di maturità ha suscitato una marea di commenti.
L’esame di maturità ha evidentemente nella coscienza di molti un posto speciale, per cui esperti, giornalisti, intellettuali, politici hanno detto la loro, spesso sovrapponendo al giudizio la memoria del proprio esame, il valore o il disvalore che questo rito ha avuto nella loro vita successiva.Da parte del ministro Valditara c’è stata immediatamente la volontà di correggere il tiro a quello che effettivamente potrebbe essere interpretato come un baco del sistema.
Si è “scoperto” un errore dopo decenni che il sistema è in vigore. Il candidato che abbia conseguito un punteggio superiore a 60/100esimi con i punti di credito attribuiti dai docenti del consiglio di classe allo scrutinio pre-esame, e con i risultati delle prove scritte, questo candidato, appunto, è sufficiente che si presenti all’esame e apponga la firma perché sia dichiarato maturo.
Già lo scorso anno un piccolo gruppo di ragazze venete aveva fruito di questo escamotage, ma la notizia non aveva evidentemente sollevato il clamore della vicenda di quest’anno e sia i media sia il ministero non se n’erano occupati più di tanto.
Quest’anno l’arcano si è svelato, generando pagine e pagine di commenti, da un lato tesi a sollecitare il ministro perché la normativa sia modificata, dall’altro – la maggior parte – a sottolineare come la scelta di non affrontare l’esame orale da parte del candidato sia il segno clamoroso di quel disagio, di quell’emergenza di natura psicologica ed educativa dell’età adolescenziale e oltre, che fa tremare il mondo adulto.
Innanzitutto, una ipotesi di natura normativa. Forse il MIM potrebbe introdurre una modifica prevedendo un valore minimo (di quasi sufficienza) per ciascuna prova; si eviterebbe il rischio di rivedere in atto gli escamotage di quest’anno e si darebbe una maggiore dignità a tutte le prove.
È sicuramente un’anomalia tutta italiana che si possa infatti conseguire una maturità classica o linguistica con una gravissima insufficienza nel lavoro di traduzione, richiesto dalla seconda prova, o una maturità scientifica o di ambito economico con una seconda prova gravemente insufficiente nell’ambito tecnico-logico matematico o finanziario. Eppure questo accade, nel caso il punteggio negativo della prova di indirizzo sia compensato da quello delle altre prove.
È ancora più anomalo che sette adulti (docenti e presidente di commissione), impegnati per circa un mese nell’analisi documentale, nella assistenza agli scritti, nella loro correzione, pronti a vivere il colloquio orale come un’occasione per pervenire a una valutazione collegiale, tesa di norma a confermare il giudizio prodotto dalla scuola, si trovino di fronte allo studente che dichiari esplicitamente di rifiutare il meccanismo della valutazione e siano d’altra parte “costretti” dalla macchina del punteggio a promuovere il candidato.
I più vecchi fra i lettori potrebbero forse pensare agli esami universitari collettivi degli anni 70, in cui si assisteva a scene di inaudita tracotanza e violenza con la pretesa del voto politico, ma ora la vicenda e il contesto sono totalmente di altra natura. Il dibattito, più che di natura politica, è di natura culturale. Ci si domanda se sia ragionevole far affrontare un tale esame a studenti così drammaticamente fragili.
Chiarito che il meccanismo del punteggio andrà rapidamente rivisto, perché è lecito supporre che il prossimo anno, per emulazione, migliaia di maturandi potrebbero rinunciare al colloquio, va sicuramente espressa qualche perplessità sull’eccesso di maternage che molti interventi hanno espresso.
Non va dimenticato che la maturità intercetta 19enni, talora 20enni e 21enni, che hanno tutti già affrontato l’esame al termine del primo ciclo di istruzione, e molti di essi numerosi altri esami di carattere linguistico o tecnico-pratico.
È banale e inutilmente retorico pensare alle esperienze dei loro coetanei in altre epoche. Occorre tuttavia ricordare che nella maggior parte dei Paesi occidentali l’esame della High School si svolge tra i 17 e i 18 anni.
Vale anche ricordare che gli studenti di scuole superiori di natura tecnica e professionale hanno di norma già affrontato – o avranno a breve occasione di affrontare – colloqui di lavoro nettamente più stressanti.
Vale ricordare che molti liceali hanno già svolto i test di ammissione alle università italiane o straniere o si apprestano a farlo.
Si tratterebbe inoltre di capire se è chiara a tutti la differenza cruciale fra il modello della valutazione formativa (“evaluation”) e quella certificativa dall’esame di Stato (“assesment”).
Il nostro strano Paese ha faticato nell’epoca Bertagna ad apprezzare e dare credito allo strumento Portfolio ed ora al Fascicolo dello studente (che viene frettolosamente analizzato). Sono documenti nei quali il soggetto discente può dimostrare, evidenze alla mano, le proprie caratteristiche, i propri interessi scolastici e non, in una prospettiva dinamica e di personalizzazione.
L’esame di maturità invece è un esame, un examen, ago della bilancia (si veda la accurata definizione del Dizionario Treccani), una prova in cui gli esaminatori deputati a ciò, come gli head hunter delle HR e i docenti universitari, nell’hic et nunc devono dare una valutazione collegiale.
Esaminatori, non mamme, papà, psicologi o altro.
Il candidato (candidato ovvero con la toga candida, per il cui significato si rimanda alla storia romana) è giudicato da esperti sulla base di precise norme indicate nell’ordinanza ministeriale.
I commenti che in questi giorni hanno affrontato, pur ragionevolmente, la tematica dal punto di vista psicologico-emotivo, talora anche con certe cadute psicologistiche, hanno confuso le carte.
Non c’è dubbio che l’emergenza educativa richieda da parte di chi sceglie la professione docente alte competenze di natura psicologico-relazionale, che certi meccanismi di “terrorismo psicologico” non solo sono anacronistici, ma esprimono una profonda incompetenza professionale e vadano censurate.
La professionalità docente richiede ampie conoscenze dei contenuti, dei metodi e dei criteri di valutazione, ma anche doti di carattere relazionale che non tutti posseggono. La struttura delle recenti prove concorsuali ha cercato di valorizzare queste dimensioni, ma la problematica connessa all’anno di prova e alla funzione del dirigente scolastico in materia, richiederebbe ulteriori approfondimenti.
Ma tutto questo riguarda ciò che precede l’esame, la didattica, l’accompagnamento dei 4 o 5 anni che lo precedono, il sostegno ai più fragili e sensibili, non l’esame stesso.
Non c’è dubbio che sarebbe un grave errore istituzionale e formativo rinunciare alla dimensione formale dell’esame, alle inevitabili tensioni che lo precedono, evitando che lo studente o studentessa si disponga a presentarsi a un collegio di adulti (quasi la metà dei quali a lui noti) per mostrare, da adulto qual è, conoscenze, capacità logiche ed espressive su contenuti di natura scolastica e non solo (gli spazi previsti per l’educazione civica, per l’esperienza del PCTO, dell’Orientamento offrono grandi opportunità di esprimere la personalità di ciascun candidato).
Ricordiamo inoltre che la procedura esplicita anche il dovere della commissione di adeguarsi ai criteri su cui è stata impostata la didattica del consiglio di classe, nel caso di Piani di studio personalizzati, e di applicare una valutazione che tenga conto di eventuali problematiche, anche di natura psicologica ed emotiva.
In ultimo, ma non ultima, la sottolineatura che anche in questo caso – tenuto conto del clamore che questi eventi hanno suscitato – sarebbe opportuno che la normativa tenesse conto dei migliori esempi stranieri, molti dei quali attribuiscono alla certificazione delle High School un enorme valore.
La scuola italiana mostra molte falle (la relazione sui dati Invalsi andrà sicuramente approfondita), ma non è semplificando o rinunciando all’esame orale o sottraendolo alla struttura formale, che potrà migliorare.
L’esperienza dice che per molti studenti, anche scolasticamente deboli, la preparazione all’esame e il suo svolgimento hanno rappresentato una reale occasione di consapevolezza del proprio valore, di incremento dell’autostima e di consolidamento dei criteri di scelta per il proprio futuro.
Agli adulti, genitori, insegnanti, uomini di scuola, legislatori, ciascuno per la propria parte, il ruolo di accompagnare i ragazzi e le ragazze affidati, con autorevolezza a fare un passo verso l’età adulta.
Non scholae sed vitae discimus.