Pubblicato il 12 Agosto 2025.

Fonte: Il sussidiario.net

Articolo di Carlo di Michele

Il dibattito sul Corsera tra Lo Storto e Valditara offre l’opportunità di puntualizzare alcuni concetti molto discussi nella scuola in modo unilaterale

Ho letto con grande attenzione e con grande piacere gli articoli pubblicati dal Corriere della Sera i giorni scorsi di Giovanni Lo Storto e del ministro Valditara. Con grande piacere per due ragioni.

In primo luogo perché si tratta di interventi che esprimono punti di vista differenti, come è del tutto legittimo, ma lo fanno in maniera costruttiva, prendendo sul serio le motivazioni dell’altro e non squalificandolo, ed è di un dibattito così che la scuola italiana ha bisogno.

In secondo luogo perché – e di conseguenza – dal dialogo non emerge un’immagine della scuola in bianco e nero, tutta buona o tutta cattiva, ma di una scuola che ha mille sfaccettature, mille difetti e mille qualità, mille episodi differenti, come sottolinea il ministro ricordando l’esame degli studenti ricoverati in ospedale.

Nel mio piccolo, potrei aggiungere un episodio analogo, di cui sono stato testimone: uno studente con una gravissima malattia, che ha seguito per forza di cose un percorso tutto suo, ma che ha fortemente voluto dare l’esame di Stato a scuola, usando gli strumenti necessari, perché voleva che il suo lavoro, la sua fatica fossero riconosciuti pubblicamente.

E in questo dialogo vorrei inserirmi con una considerazione che ritengo di importanza capitale. Troppo spesso il dibattito sulla scuola è polarizzato secondo uno schema manicheo: la destra esalta i contenuti, le conoscenze, lo studio, l’impegno individuale, i voti; la sinistra esalta i metodi, le competenze, le attività, la collaborazione, una valutazione formativa e non punitiva. In una parola, la scuola di destra è la scuola del merito, dell’eccellenza; la scuola di sinistra la scuola dell’attenzione alla persona. Solo che questa contrapposizione è falsa.

Nella realtà – quella che insegnanti e alunni e alunne sperimentano ogni giorno – attenzione alla persona ed eccellenza non sono contrapposte, ma inscindibilmente legate. Da un lato infatti, se un’insegnante ha una vera attenzione alla persona dei propri alunni e alunne non può non desiderare, proprio per questo, che raggiungano insieme una preparazione culturale, intellettuale, professionale la migliore possibile.

E se un’insegnante vuole dare ai suoi alunni e alunne una grande preparazione, non può non guardare, proprio per questo, a tutti gli aspetti della loro persona.

Quante volte ho sentito dire: “sì, dobbiamo guardare i nostri ragazzi, ma dobbiamo anche svolgere il programma”; o, all’opposto, “sì, dobbiamo svolgere il programma, ma dobbiamo anche guardare i ragazzi”. Invece, fra i due corni del presunto dilemma non c’è opposizione, ma complementarità; non c’è un ma, ma un proprio perché.

Un’attenzione alla persona che non volesse portare ciascuno e ciascuna ai massimi risultati possibili non sarebbe vera attenzione, ma solo condiscendenza, fondata in ultima analisi su una disistima di studenti e studentesse; una ricerca dell’eccellenza che ignorasse il vissuto, le domande, le fatiche di studenti e studentesse sarebbe condannata in partenza al fallimento.

In estrema sintesi: proprio perché vogliamo bene ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze vogliamo dar loro una formazione eccellente; e proprio perché vogliamo dar loro una formazione eccellente non possiamo non prendere in considerazione tutte le dimensioni della vita: affettiva, familiare, sociale, di bisogno di significato.

Nella scuola reale, quanti esempi abbiamo di ragazzi e ragazze che, proprio perché sono stati presi sul serio nel loro bisogno umano, hanno raggiunto risultati eccellenti; e quanti esempi di ragazze e ragazzi che hanno ottenuto risultati al di sotto delle loro capacità proprio perché non sono stati presi sul serio nel loro bisogno umano da insegnanti che guardano solo al voto.

Due nota bene conclusivi. Il primo. Spesso la contrapposizione finisce per scaricarsi sulla questione della valutazione, come ha mostrato il dibattito sulla reintroduzione dei voti nella scuola primaria: il voto numerico esclude, la valutazione descrittiva include. Anche qui, è un falso dilemma.

C’è un modo di dare un 4 che, dentro un rapporto umanamente fecondo, segnala solo un’insufficienza rispetto a un dato compito, e non è un giudizio sulla persona; e c’è un modo di esprimere una valutazione verbale che può diventare un giudizio definitivo sul valore della persona e non aiuta davvero a comprendere i passi fatti o meno.

Qui non c’è lo spazio per approfondire, ma anche in questo caso il punto non è “voti sì, voti no”, ma “voti come: il problema è se una valutazione è adeguatamente motivata, se è dentro una relazione o cade dal cielo. Quando è adeguatamente motivata, qualsiasi valutazione è un passo in un cammino; quando manchi una motivazione adeguata, qualsiasi valutazione – numeri o parole – può facilmente diventare un “tu non vali”.

O “non vali più di così”, che è lo stesso: il punto è se ogni valutazione – numeri o parole – diventa un “tu vali più di così” e quindi diventa occasione di conferma o di correzione, comunque di miglioramento e di rilancio.

Secondo nota bene. Capisco che qualcuno potrebbe accusarmi di disegnare una scuola idealizzata; la scuola reale è fatta di insegnanti che sono quello che sono, alcuni più capaci di tenere insieme queste due dimensioni, altri più legati al programma, al voto, agli schemi. Lo so bene.

Per cui un rapporto educativo autentico, un’attenzione vera alla persona, porta in sé anche la capacità di accompagnare i nostri studenti e le nostre studentesse a fare i conti con questa realtà, a non farsi schiacciare da un sistema che non li guarda.

Anche la capacità di stare davanti alle delusioni, di affrontare le frustrazioni, di non fermarsi davanti alle difficoltà fa parte di una personalità matura; perciò, proprio perché vogliamo bene ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, vogliamo educarli anche a questo.

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