Paritarie: Cassazione, cosa c’è veramente in gioco su ICI-IMU


Rimandando a quanto già pubblicato in materia di IMU per gli enti non statali dopo il Decreto MEF del 26 giugno 2014, completiamo le informazioni sul problema ICI-IMU con riflessioni di un costituzionalista, uno studio sulle novità introdotte dal 2014 (che rileva con forza la novità del concetto di “costo medio per studente” nel servizio di istruzione).

 

Avvenire - 28 gliuglio 2015 - Gianni Santamaria 

Serve  più chiarezza  normativa. Parla il giurista Cesare Mirabelli:  la stratificazione delle  leggi consente varie interpretazioni. 

E’ un problema di disciplina tributaria  che dovrebbe avere una  chiarezza maggiore rispetto  alla stratificazione delle norme che consentono  interpretazioni come questa della  Cassazione». La Corte «tra l'altro rileva che  si tratta di una vicenda del 2004, mentre le  norme che hanno modificato la disciplina  delle esenzioni sono del 2005-2006. Perciò  in qualche modo interpreta vecchie disposizioni». 

Ma soprattutto il giurista Cesare  Mirabelli, presidente emerito della Corte  costituzionale, punta sulle finalità, sui principi  che regolano l'attività delle paritarie e  di tutto il vasto settore del non profit, che vede  protagonista la Chiesa, ma non solo.  «Non vedo un grande dibattito sul fatto che  l'asilo parrocchiale, anche se c'è un contributo  in denaro dei genitori, non sia assimilabile  alle scuole che fanno recuperare otto  armi in uno. O che l'istituto dei Salesiani che  fa formazione, e che per mantenere l'attività  fa pagare un contributo, sia cosa diversa da  un istituto a fini di lucro». Al fatto che queste  realtà svolgono un interesse e una funzione  pubblica va data perciò una «rilevanza  oggettiva». Poi, «se si ha il coraggio di dire  che non c'è interesse pubblico ad esempio  in un centro ricreativo a Scampia per  ragazzi di strada, gestito davolontari, che abbia  una piccola retta, allora è un altro discorso. 

Ma se si è d'accordo sui principi, si  tratta di trovare una formulazione adeguata  dell'articolo 7 del decreto legislativo 504  del 1992 (quello sulle esenzioni all'Ici contenuto  nella finanza degli Enti territoriali,  ndr) oggetto dell'interpretazione della Corte.  E che forse la Corte poteva interpretare  in forma parzialmente diversa».  A cosa risalgono le difficoltà nel dirimere  la questione?  Una risposta hanno cercato di darla, anche  con successive variazioni, la legge sulla finanza  degli Enti territoriali e la norma che  prevede l'esenzione dall'Imu/Ici. E lo hanno  fatto affermando è un dato oggettivo che  gli immobili utilizzati esclusivamente  per lo svolgimento di attività assistenziali,  previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,  culturali e ricreative, nonché i luoghi di  culto, sono esenti. Questo per un parallelismo  con gli immobili di enti pubblici destinati  a compiti istituzionali. 

Dunque, come si è arrivati alla sentenza?  La Cassazione ha dato un'interpretazione  che riguarda sì il profilo soggettivo e oggettivo,  ma limita questa esenzione, dicendo  che l'attività deve essere svolta con modalità  non commerciali. Intendendo per commerciali  tutte quelle attività che prevedono  il pagamento di un corrispettivo. Quindi,  stringendo molto, forse troppo, le maglie.  Dunque, la norma andava in una direzione,  l'interpretazione della Cassazione una di  quelle possibili e di tutte si può discutere va  in un'altra. Si tratta di risolvere la questione  anche normativamente.  La Cassazione si rifà alla procedura  di infrazione dell'Unione  europea in materia di aiuti di  Stato alla Chiesa e in materia di  concorrenza.  Qui si è enfatizzato qualcosa che  forse non era da enfatizzare. Aprire  una procedura di infrazione  non significa concluderla negativamente.  Significa aprire una finestra per guardare  delle cose. Allora qui davvero bisognavedere  qual è la natura delle cose, che è dettata  da una disciplina tributaria  nazionale. Certamente se si tratta  di attività commerciali in concorrenza  con altri soggetti, o che  si camuffano da non lucrative,  qualche problema ci può essere.  Ma se si tratta di attività che, per  il modo in cui sono erogate e lo  scopo esclusivo e prevalente,  non rientrano nelle finalità commerciali, allora  queste vanno protette. 

 

 

La disciplina di esenzione IMU per le scuole paritarie italiane dopo il Regolamento 200/2012

Il costo medio per studente.

Suor A. Monia Alfieri – Fidae Lombardia

 

1.  Un Regolamento per adeguarsi ai parametri di conformità Europei

Il regolamento n. 200 del 19 novembre 2012 mira a disciplinare l’esenzione dall’IMU per gli enti non commerciali e applica, in buona sostanza, il concetto di attività economica inteso in senso comunitario,     anche    con     riferimento     alle     realtà     didattiche     ed     educative. Infatti, ai sensi del diritto dell’Unione Europea, gli enti che pur non essendo commerciali svolgano comunque attività commerciali, sono considerati necessariamente di natura economica. In questi casi, gli immobili destinati  a tali attività sono soggetti  al pagamento  dell’IMU, e non possono beneficare dell’esenzione.

Il Ministero, col Regolamento in questione, ha tentato di “ricondurre a coerenza con i principi comunitari” in questa ottica anche le realtà scolastiche gestite da privati, con la ratio di voler applicare le esenzioni ad alcuni Enti “non commerciali”.  Ammessa la necessità (citata in premessa al decreto) di adeguarsi ai "parametri di conformità previsti  dal diritto dell’Unione Europea", occorre considerare che in quasi tutti i paesi europei le scuole non statali godono a diverso titolo di finanziamenti pubblici e possono dunque permettersi  di praticare una retta semplicemente simbolica ad integrazione del contributo statale.

Sarebbe  allora necessario,  proprio per adeguarsi  all’Europa,  procedere nella direzione esattamente opposta a quanto previsto dal Regolamento? Una costante che sembra attraversare la Storia italiana: l’ “incompiutezza”. Consentiamoci una digressione in merito per ricordare che il principio di non contraddizione  vale anche nella necessità  di adeguarsi, altrimenti chi non lo applica risulta essere “come un tronco” (Aristotele).

 

2.  L’Italia giuridicamente anticipa l’Europa. Riconoscimento del diritto

2.1.         Responsabilità  educativa  implica Libertà  di scelta  educativa.  1948, Costituzione della Repubblica  Italiana, Articolo  30, 1° comma: “E`  dovere e diritto  dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”; 2° comma: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”.

2.2.         Libertà   di  Insegnamento   e  Pluralismo   educativo. 1948,  Costituzione   della Repubblica  Italiana, Articolo 33, 2° comma: “La  Repubblica  detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”; 3° comma: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione,  senza oneri per lo Stato”; 4° comma: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare  ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.

2.3.         Pluralismo educativo riconosciuto e garantito da una legge sulla parità che concede di far parte del Sistema  Nazionale di Istruzione  solo a quelle scuole che rispettano  le condizioni ben specificate dalla legge 62/2000.

2.4.      Libertà  di Insegnamento  nella Comunità  Europea.  13.03.1984,  Risoluzione  del

Parlamento Europeo: “6. La libertà di insegnamento e di istruzione deve essere garantita;

7. La libertà di insegnamento  e di istruzione  comporta  il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica”. Per esplicitare: - tale libertà deriva dal diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l'istruzione  desiderata;  “9.  Il diritto alla libertà d'insegnamento  implica per sua natura l'obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l'esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche  necessarie allo svolgimento dei loro compiti, all'adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti  pubblici corrispondenti,  senza discriminazione  nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale”.

2.5.         Il diritto alla libertà di scelta  educativa  in Europa.  04.10.2012,  Risoluzione  del Parlamento Europeo: “1. L’Assemblea parlamentare richiama che il godimento effettivo del diritto all’educazione è una condizione preliminare necessaria affinché ogni persona possa realizzarsi  ed assumere  il  suo  ruolo all’interno della società.  Per  garantire il  diritto fondamentale all’educazione, l’intero sistema educativo deve assicurare l’eguaglianza delle opportunità ed offrire un’educazione di qualità per tutti gli allievi, con la dovuta attenzione non solo di trasmettere il sapere necessario all’inserimento professionale e nella società, ma anche i valori che favoriscono la difesa e la promozione dei diritti fondamentali, la cittadinanza democratica e la coesione sociale. A questo riguardo le autorità pubbliche (lo Stato,  le Regioni  e gli Enti  locali) hanno un ruolo fondamentale  e insostituibile  che garantiscono in modo particolare attraverso le reti scolastiche che gestiscono (di seguito “scuole pubbliche”); 2. E’ a partire dal diritto all’educazione così inteso che bisogna comprendere il diritto alla libertà di scelta educativa.”

Questo passaggio è molto interessante, poiché a distanza di 28 anni circa il Parlamento Europeo riprende la Risoluzione UE 1984  che parte dalla libertà di insegnamento e le fa fare un passo avanti, giustificandola non come punto di partenza bensì come punto di arrivo. Cioè afferma che la libertà di insegnamento è possibile solo se c’è la libertà di scelta educativa, ritenendo quindi quest’ultima quale diritto primordiale,  segno di un Paese che, riconoscendo e custodendo  il diritto alla LIBERTA’  DI EDUCAZIONE,  rende possibile un aspetto importante della democrazia e cioè la LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO. Come  mai questo passaggio?  Cosa era successo in questi 28 anni? Si era usciti dalle grandi guerre dichiarate ma si stavano attraversando regimi totalitari che in modo subdolo, agendo sulla libertà della base (potremmo dire della famiglia) impedivano la libera espressione della stampa prima, dell’educazione poi, soggiogando cosi chi doveva  scegliere. Ecco cosa ha capito l’Europa. Difatti inverte l’ordine degli addendi aprendosi la strada a passaggi ancora più incisivi. Interessante rilevare che, questa intuizione, i nostri Costituenti la ebbero nel 1948, quando individuarono correttamente la posizione e il ruolo della libertà di scelta educativa prima, e la libertà di insegnamento come funzionale e conseguente alla prima.

 

3.  Settore Scuole e attività educative

Il regolamento 200/2012 stabilisce che le scuole pubbliche statali non sono tenute al pagamento dell’IMU; le scuole pubbliche paritarie, se non erogate a titolo gratuito o con un prezzo simbolico, devono versare l’IMU. Il Consiglio di Stato  fa riferimento ai principi europei senza riuscire ad esplicitarli sino in fondo. All’art. 4 comma 3, lettere a), b), c), si individuano  le caratteristiche (conditio sine qua non) affinché le scuole paritarie non paghino l’IMU. Devono  essere: scuola paritarie; non devono essere  discriminatorie  nell’accettazione  degli alunni; hanno l’obbligo di accogliere  gli alunni portatori di handicap; devono applicare la contrattazione  collettiva al personale docente e non docente; devono garantire l’adeguatezza delle strutture agli standard previsti; devono dare pubblicità del loro bilancio. Da notare che sono i requisiti della legge 62/00 sulla  parità. E’  chiaro il  paradosso  che allontana il  Consiglio  di  Stato  dai principi europei accennando l’ultimo requisito senza contestualizzarlo: “le attività didattiche devono essere svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. Il richiamo - in premessa di questo Decreto a titolo giustificativo - alla necessità di adeguarsi ai “parametri  di conformità previsti  dal diritto dell’Unione Europea”  non prende in considerazione un particolare molto importante: le scuole pubbliche  paritarie, nei diversi Paesi europei godono,  anche  se in maniera diversificata  da un Paese  all’altro, di un finanziamento pubblico e, quindi,  si trovano nella oggettiva fortunata situazione di non praticare alcuna retta, oppure di applicare una retta puramente simbolica ad integrazione del contributo statale. Difatti nonostante una struttura giuridica perfetta che anticipa l’Europa, in ambito europeo ad oggi l’Italia risulta - nella garanzia dell’esercizio del diritto - una grave eccezione.

 

4.  Il requisito “rette di importo simbolico” in Italia e in Europa

Ai fini dell’esenzione IMU, il Consiglio di Stato, dopo svariate bocciature, approva il Regolamento in virtù del fatto che con l’art. 4, comma 3, lett. c) esso sembra riallinearci  ai principi europei, prevedendo che “l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e tali da non coprire integralmente  il costo effettivo del servizio”. Difatti lo stesso Consiglio  di  Stato  rammenta che “secondo  la giurisprudenza  comunitaria, il  carattere non economico dell’istruzione pubblica non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori sono tenuti a pagare tasse  di iscrizione o scolastiche  per contribuire ai costi di gestione  del sistema, mentre va distinta l’ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali” (Corte Giust. UE, 11.09.2007).  Il Regolamento applica in modo erroneo i principi europei e la parità scolastica celando una illegittima forma di aiuto statale. E’ chiaro che il Regolamento ignora del tutto la presenza e la natura della categoria delle Scuole Pubbliche Paritarie, scuole che seppur gestite da privati o da Enti, si caratterizzano per il loro essere totalmente “paritarie” in rapporto alle scuole pubbliche statali (ex L. 62/2000) e dunque la loro funzione è “non commerciale”, anche nel senso voluto dall’Unione Europea, ove la scuola pubblica statale e pubblica paritaria, essendo entrambe realtà didattiche finalizzate alla istruzione e diffusione del sapere,  godono tutte  e due, come fonte unica di sostentamento, del finanziamento pubblico.

Chiaramente improprio e tendenzioso l’art. 4 comma 3 c) poiché la scuola paritaria è già, per legge, una scuola pubblica non commerciale.

 

5.  Concetto di attività economica

L’art. 4 comma 3 c) non riesce a superare il vincolo economico della L. 62/00; anzi, mentre con questa lo si ignora, qui - a 12 anni da quest’ultima - si fa un passo indietro e lo si cela (ma si sottovaluta l’intelligenza di chi riflette…). Infatti simile comma non è attuabile in Italia, che si trova in situazione molto differente dall’Europa, dove le scuole pubbliche, gestite dallo Stato e da privati, hanno il carattere di enti non commerciali in quanto sovvenzionate dallo Stato stesso. Un decreto che cela un’ingiustizia sociale, oltre alla mancanza di conoscenza e coerenza intrinseca.

Con la decisione  del 19 dicembre 2012 relativa all’aiuto di  Stato  SA  20829 (C26/210)  la Commissione Europea, con riferimento, in particolare, all’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i),  del  D. Lgs,.   n.  504 del  1992, si  è  pronunciata in  materia sia  di  ICI   che di  IMU. La Commissione  ha riconosciuto che “l’esenzione dall’IMU, concessa ad enti non commerciali che svolgono negli immobili esclusivamente le attività elencate all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo  n. 504/92,  non costituisce  un aiuto di Stato  ai sensi  dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato”. Secondo  la Commissione,  le disposizioni concernenti  l’applicazione all’IMU dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. h), del D. Lgs. n. 504 del 1992 esprimono in modo chiaro che detta esenzione può essere garantita solo  se negli immobili considerati  non vengono svolte  attività  commerciali. Non sono, quindi, più possibili per la Commissione  “le situazioni ibride create dalla normativa ICI, in base alla quale, in alcuni immobili che beneficiavano di esenzioni fiscali, si svolgevano attività di natura commerciale”.

Al  riguardo, la  Commissione  ha  ricordato che, conformemente alla giurisprudenza,  "non costituiscono attività economica i corsi offerti da determinati stabilimenti che formano parte del sistema dell’istruzione pubblica e sono finanziati, del tutto o prevalentemente, con fondi pubblici". La natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo  una frazione del costo effettivo del servizio  e non possano, pertanto, considerarsi  una retribuzione del servizio prestato.

Si fa presente che la lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”.

A questo proposito, viene ricordato che, nella “Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione  concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale” - pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 008 dell’11 gennaio 2012 pag. 0004 - 0014 (2012/C 8/02) - la Commissione europea ha già avuto modo di verificare  che “la giurisprudenza dell’Unione ha stabilito che l’istruzione pubblica organizzata nell’ambito del sistema  scolastico  nazionale  finanziato  e controllato dallo Stato  può essere considerata un’attività non economica”.

Nella stessa Comunicazione, al punto 27, la Commissione europea, richiamando la giurisprudenza dell’Unione, ha, altresì, affermato che “il carattere non economico dell’istruzione pubblica, in linea di massima, non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse  d’iscrizione o scolastiche  per contribuire ai costi  di gestione  del sistema.  Tali contributi finanziari spesso coprono soltanto una frazione del costo effettivo del servizio e non possono quindi essere considerati una retribuzione del servizio prestato.”

Alla luce di quanto appena illustrato, la Commissione  ha ritenuto che “le rette di importo simbolico” cui si riferisce  il Regolamento n. 200 del 2012 non possano essere considerate una remunerazione del servizio fornito.

Pertanto, nella fattispecie in esame, considerati i requisiti generali e soggettivi di cui agli artt. 1 e 3 del Regolamento e i requisiti oggettivi specifici di cui al successivo art. 4, la Commissione ha deciso che il servizio didattico fornito dagli enti in questione non possa essere considerato un’attività economica.

 

6.  La bozza  del Decreto IMU per gli enti non commerciali  schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente.

Resta da “contestualizzare” al Sistema Scolastico Italiano il parametro Europeo, il “requisito” alla lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento che stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali  da coprire solamente  una frazione  del costo  effettivo del servizio,  tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. E’ fondamentale domandarsi, “simbolico” rispetto a cosa? Quale sarà il “costo effettivo del servizio”? In tal senso a norma dell’art. 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali.

La bozza del Decreto IMU per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente.

Per avere un parametro più oggettivo, le bozze del nuovo decreto prevedono il confronto tra il corrispettivo medio per studente dell’ente non commerciale e “il costo medio per studente” della scuola pubblica statale, un dato che il MIUR colloca sopra i 7.600 euro annui, come pubblicava Il Sole  24 Ore 18/02/2014  http://statistica.miur.it/ustat/Statistiche/internazionale_indic2.asp.  E ritengo che in tale valore non siano stati conteggiati i finanziamenti degli enti pubblici locali a favore della scuola pubblica statale.

Pertanto, nel caso in cui l’ammontare medio dei corrispettivi richiesti agli studenti o alle loro famiglie si collochi al di sotto del corrispondente costo medio per studente individuato dal MIUR, si deve ritenere che l’attività didattica venga svolta con modalità non commerciali e, quindi, non sia assoggettabile ad imposizione.

 

7.  Costo Medio Standard

Questo  parametro si  pone come novità assoluta  e come necessità  in vista  del processo  di riconoscimento del diritto della Famiglia, in conformità alla Costituzione della Repubblica Italiana, alla Carta dei Diritti Umani, ai principi enunciati dalla Comunità Europea.

Riprendo una dichiarazione del neo ministro all’Istruzione Stefania Giannini: “considerare le spese

per l’istruzione non come costi ma come investimenti in capitale umano”.

Investire in capitale umano significa avere a cuore il futuro dell’Italia. Investire significa a) rendersi conto dei bisogni, b) avere consapevolezza delle risorse attuali, c) considerare i benefici maggiori in rapporto al margine di rischio, d) azzerare gli sprechi, o costi cattivi, in vista dell’investimento. Ricordiamo  che l’Italia è il paese che spende di più e peggio in Europa.  La causa  principale? Carenza di educazione, formazione, cultura. Ed è qui che si inserisce la chiave di volta fra i principi sopra enunciati e gli aspetti concreti che ne seguiranno. Affinché l’intuizione della bozza di questo decreto IMU non sia l'ennesima occasione persa, fagocitata da altri interessi che allontanano da una posizione così chiara e lucida, l’unico passaggio di fatto che la storia ci suggerisce è: 1) si individui il costo standard dell'allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, 2) si dia alla famiglia la possibilità  di scegliere fra buona scuola pubblica  statale  e buona scuola pubblica paritaria. Risultato: 1) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; 2) innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini; 3) valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società; 4) abbassamento dei costi e destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi.

Si innesca cosi un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il Welfare non può sostenere altri costi; non a caso il Principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica è anzitutto un principio economico prioritario. Europa docet.

 

8.  Conclusioni. Garanzia dell’esercizio del diritto

L’auspicio è che la bozza del decreto preannunciata, che ha rappresentato un lampo di luce in fondo al tunnel, non si areni in qualche stanza della burocrazia “alla Azzeccagarbugli” e porti a compimento questa azione di grande civiltà per giungere a rendere possibile anche per l’Italia (unica grave eccezione in Europa insieme alla Grecia), in modo definitivo, il “punto di non ritorno” rispetto all’istruzione pubblica: la Buona Scuola Pubblica è statale e paritaria. La Famiglia  arriverà ad esercitare il proprio diritto di scelta senza vincoli economici, in quanto già è contribuente del

Fisco;  l’interazione  tra  scuole  pubbliche statali  e pubbliche paritarie porterà ad una seria definizione delle rispettive missioni e dei rispettivi piani dell’offerta formativa, a tutto vantaggio del diritto di scelta delle famiglie, della crescita educativa dei singoli e pertanto della società.

In tal senso non possiamo non aver accolto positivamente le parole del presidente del Consiglio dott. Matteo Renzi che ha coraggiosamente definito la scuola come "il punto di partenza." Non uno dei tanti punti bensì il punto. Parole confermate dalle dichiarazioni chiare e inequivocabili del neo ministro  all'Istruzione  prof.ssa Stefania  Giannini che afferma: "fondamentale garantire la libertà di scelta educativa".

Anna Monia Alfieri

 

Imposta Municipale Propria ( IMU) e Tributo per i Servizi Indivisibili (TASI) 

Fidae Lombardia

Le recenti disposizioni emanate in materia di IMU e di TASI prevedono che gli enti non commerciali devono presentare un’unica dichiarazione sia per l’IMU sia per la TASI. 
Per quanto concerne l’esenzione dal pagamento dell’ IMU e della TASI relativamente alle Attività Didattiche nel modello di dichiarazione IMU e TASI per gli enti non commerciali è precisato quanto segue.
Le attività didattiche sono quelle dirette all’istruzione e alla formazione di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53. 
Lo svolgimento delle predette attività si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:
a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;
b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni con disabilità, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;
c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
Tra le attività didattiche sono ricomprese le “iniziative sperimentali” denominate “sezioni primavera”, istituite dall’art. 1, comma 630, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Pertanto, se le predette sezioni sono istituite nelle scuole paritarie dell’infanzia, le stesse sono da considerarsi come le altre sezioni per l’infanzia funzionanti nelle scuole stesse.
Relativamente alla compilazione del Quadro B del modello di dichiarazione IMU-TASI si riassumono qui di seguito le istruzioni per la compilazione del secondo riquadro.
Detto riquadro prevede, al primo rigo, l’indicazione del Cm, vale a dire il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria e quella del Cms, vale a dire il costo medio per studente pubblicato nella tabella sottostante che costituisce il parametro di riferimento per verificare il rispetto del requisito richiesto dalla vigente normativa per l’esenzione dal pagamento dell’IMU e della TASI

Tabella. Spesa Annuale per studente distinta per livello di istruzione (CMS)

 

Scuola dell'infanzia

Scuola Primaria

Istruzione secondaria
di primo grado

Istruzione secondaria 
di secondo grado

Tutti i livelli

Spesa annua nelle istituzioni educative per studente

€ 5.739,17

€ 6.634,15

€ 6.835,85

€ 6.914,31

€ 6.882,78


Fonte Education at glance OECD

Per corrispettivo medio (CM) si intende la media degli importi annui che vengono corrisposti alla scuola dalle famiglie.
Ad esempio se in una scuola dell’infanzia sono presenti 10 bambini per i quali viene corrisposto un importo annuo pari a € 1000 e 5 per i quali viene corrisposto un importo annuo agevolato di € 500, il corrispettivo medio sarà pari a: [(1000 x 10) + (500 x 5)] / 15 = € 833. 
Per costo medio per studente (CMS) si intende, invece, l’importo indicato nella Tabella sopra riportata, distinto per settore scolastico. 
Se il corrispettivo medio (CM) è inferiore o uguale al costo medio per studente (CMS) , ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione.
In questo caso dovrà essere barrato il campo corrispondente al Rigo g) del modello. Dovrà essere contestualmente barrato il campo 13, nel caso in cui nell’immobile venga svolta esclusivamente attività didattica con modalità non commerciali. Se, invece, il corrispettivo medio (CM) risulta superiore al costo medio per studente (CMS), si dovrà barrare il campo relativo al Rigo h) e si dovrà procedere alla determinazione della parte del valore di cui al Rigo f) assoggettabile a IMU e alla TASI. 

 

 
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