Pubblicato il 29 Dicembre 2025.

Fonte: Sussidiario.net

Articolo di Ezio Delfino

La nuova valutazione dei dirigenti scolastici è di impronta nettamente procedurale; il modello presenta molti limiti che dovrebbero trovare sviluppo.

Con il Decreto Interdipartimentale n. 2276/2025 il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha definito gli obiettivi per la valutazione dei dirigenti scolastici per l’a.s. 2025-26. Sono rimasti invariati il numero di obiettivi nazionali integrati con nuovi indicatori e relativi target, quotati fino a 70 punti, ai quali si aggiungono un massimo di 10 punti per il raggiungimento dell’obiettivo regionale e restano invariati i criteri e i descrittori della rubrica di valutazione dei comportamenti professionali e organizzativi per l’assegnazione fino a 20 punti – di natura discrezionale – da parte dei direttori scolastici regionali, per un totale di 100 punti a disposizione.

Questa procedura valutativa si è resa cogente già dall’a.s. 2024-25 in seguito all’emanazione del D.L. 71/2024 che non consente più l’erogazione della retribuzione di risultato alla dirigenza pubblica in mancanza di un Sistema nazionale di valutazione.

Quali gli ambiti di valutazione dei prèsidi previsti dal nuovo modello? Si tratta di competenze gestionali-organizzative e per lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse umane, di competenze di progettazione delle iniziative volte al miglioramento e di competenze concernenti i rapporti con la comunità scolastica, i referenti istituzionali e il territorio.

L’avvio di questa valutazione può positivamente sostenere un modello di direzione di scuola quale garanzia di qualità del sistema formativo statale ed apre le porte, si auspica, alla valutazione di tutto il personale scolastico. Essa realizza, infine, il riconoscimento economico di risultato del responsabile di scuola statale equiparato a quello della dirigenza pubblica.

Va detto, tuttavia, che la capacità di innovare e il miglioramento dell’agire professionale di un dirigente scolastico non sono automaticamente generati da procedure valutative, ma attingono da una motivazione fondata nella personale consapevolezza del compito educativo a cui si sente chiamato e nella responsabilità di realizzare comunità formative vive ed efficaci.

Lo strumento valutativo, può, tuttavia, favorire una maggior consapevolezza del compito e coerenza nel realizzarlo, ed è utile al miglioramento del sistema scolastico nella misura in cui favorisce una riflessione sull’efficacia del proprio lavoro direttivo, sulle modalità di investimento delle risorse umane ed economiche, sugli esiti di apprendimento degli studenti.

Quello avviato appare, invece, più un modello orientato a risolvere problemi di sostenibilità procedurale della valutazione – rilevando solo alcuni aspetti dell’agire professionale – che a calibrare la piena professionalità di un dirigente scolastico, la cui funzione manageriale non è di volta in volta solo la direzione strategica o l’organizzazione, l’autovalutazione e il miglioramento o la gestione delle risorse finanziarie, la gestione delle reti o dei rapporti con il territorio.

È tutte queste cose insieme, non separate e sommate, ma fuse l’una nell’altra in un equilibrio dinamico, come ci ricorda l’economista canadese H. Mintzberg: “togliete uno solo di questi elementi e non avrete più un’idea precisa del lavoro manageriale nella sua interezza. Concentrandosi su un aspetto a esclusione degli altri, si riduce, anziché estenderla, la nostra visione della gestione manageriale”.

Basterà, dunque, valutare solo alcune procedure e risultati? È indubbio che il modello introdotto andrà integrato ed aggiornato se si vogliono evitare dimensioni valutative prevalentemente tarate su esiti formali e capacità tecniche – con il rischio di generare, nel tempo, un profilo di dirigenza scolastica con esclusive caratteristiche di managerialità gestionale –, introducendo anche ponderazioni delle capacità relazionali e motivazionali e l’attitudine al perseguimento di aspetti valoriali.

Non è possibile, inoltre, valutare questa figura dimenticando la complessità delle scuole e trascurando la valutazione contestuale anche delle altre componenti, docenti e non docenti, dalla cui collaborazione dipende l’esito del suo operato.

La mancanza di un sistema di valutazione dell’intero personale scolastico, oltre a non quotare la situazione reale della singola scuola, potrebbe, infatti, rappresentare una discriminazione verso i dirigenti stessi come unici giudicati e ridurre nel tempo e nei fatti la procedura avviata ad una formalità finalizzata esclusivamente all’accesso al salario di risultato. Per non dire della necessità di potenziare il corpo ispettivo, oggi in Italia numericamente ridotto e depotenziato del suo compito regolativo, a differenza di quanto avviene in altri sistemi scolastici europei.

L’introduzione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici lascia, infine, aperte questioni che si tratterà di approfondire: è l’autonomia scolastica un soggetto “adatto” ad essere valutato secondo i parametri del sistema pubblico, o si può affermare la sua estraneità al modello generale di valutazione delle altre figure della dirigenza statale previsto dal d.lgs. 165/2001 (come modificato dal d.lgs. 150/2009)?

Come evitare che i dirigenti scolastici, da garanti dell’autonomia scolastica, diventino potenzialmente garanti dell’attuazione di disposizioni impartite dal centro?

Sarebbe possibile accertare e accettare la specificità della missione e della funzione della scuola regolandola semplicemente a partire dalla sua fonte normativa specifica – seppur da aggiornare – che è il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione n. 297/1994?

L’introduzione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici può essere l’occasione per aprire un importante dibattito sugli obiettivi e sul funzionamento dell’autonomia scolastica e sulla sua specificità.

Condividi articolo